La vendetta dell'uomo chiamato cavallo
The Return of a Man Called Horse
Durata
129
Formato
Regista
Dopo aver vissuto presso i Sioux, l’aristocratico John Morgan (Richard Harris) è rientrato nella natia Inghilterra. La nostalgia per il passato si fa però troppo forte e lo spinge a tornare nella “sua” tribù, che scopre essere stata decimata da un popolo rivale, alleato di spietati cacciatori di pellicce. Sarà ancora una volta Morgan a guidare gli indiani verso la riscossa.
L’epopea dell’“indiano bianco” Shunka Wakan riprende a sei anni di distanza dal cult Un uomo chiamato cavallo (1970) di Elliott Silverstein, noto come uno dei più significativi esempi di western revisionista e dalla parte dei nativi americani. Dirige con mano da mestierante Irvin Kershner, regista che pare specializzato in sequel (vedi L’impero colpisce ancora[1980] e Robocop 2 [1990]) e che si limita però a ricalcare in maniera pedissequa e pressoché inutile il capostipite. All’azione si accompagna un accurato racconto antropologico delle usanze tribali, nel quale, immancabilmente, ci viene riproposta l’impressionante Danza del Sole. Originalità e freschezza, tuttavia, scarseggiano e sorge un dubbio: a fronte del messaggio filoindiano ed ecologista, è in fondo ancora una volta il protagonista – bianco e “civilizzato” – il vero eroe nonché “salvatore” del popolo pellerossa. Seguito da Shunka Wakan – Il trionfo di un uomo chiamato cavallo (1983) di John Hough.
L’epopea dell’“indiano bianco” Shunka Wakan riprende a sei anni di distanza dal cult Un uomo chiamato cavallo (1970) di Elliott Silverstein, noto come uno dei più significativi esempi di western revisionista e dalla parte dei nativi americani. Dirige con mano da mestierante Irvin Kershner, regista che pare specializzato in sequel (vedi L’impero colpisce ancora[1980] e Robocop 2 [1990]) e che si limita però a ricalcare in maniera pedissequa e pressoché inutile il capostipite. All’azione si accompagna un accurato racconto antropologico delle usanze tribali, nel quale, immancabilmente, ci viene riproposta l’impressionante Danza del Sole. Originalità e freschezza, tuttavia, scarseggiano e sorge un dubbio: a fronte del messaggio filoindiano ed ecologista, è in fondo ancora una volta il protagonista – bianco e “civilizzato” – il vero eroe nonché “salvatore” del popolo pellerossa. Seguito da Shunka Wakan – Il trionfo di un uomo chiamato cavallo (1983) di John Hough.