The Last Showgirl
The Last Showgirl
Durata
85
Formato
Regista
È il canto del cigno di Shelley Gardner (Pamela Anderson), prorompente ballerina che si trova di fronte alla chiusura imminente del varietà a cui ha dedicato tutta la sua vita in una delle tante scintillanti (e deprimenti) residency di Las Vegas.
Permeato di malinconia e di un devastante senso di solitudine, a suo modo crudo e brutale nonostante lustrini e paillettes, The Last Showgirl non ci risparmia nulla della parabola umana ed emotiva della protagonista ai margini della capitale del gioco d’azzardo. Pamela Anderson regala una performance inedita e struggente, che gioca con suggestioni autoreferenziali (una cinquantenne ingenua e civettuola, eterna ragazzina nel corpo di una pin-up, che ama raccontarsi come una diva di altri tempi). Se l’influenza di Sofia Coppola si fa sempre più evidente – nel soggetto, nello stile, persino nei titoli di testa – Gia Coppola dimostra di essersi comunque “emancipata” dalla sua famiglia nel costruire una storia di marginalizzazione che ha come co-protagonista Las Vegas, regina dell’entertainment e della speculazione, ma anche per questo motivo luogo di finzione dove sentirsi alienati ed emarginati. Las Vegas assume le sembianze di uno scheletro vuoto, addobbato di luci al neon e promesse non mantenute, che balla una danza disperata incapace di fermarsi, proprio come Shelley e Annette (Jamie Lee Curtis) nelle loro coreografie paragonabili a monologhi muti pieni di nostalgia. Interessante lo sguardo della regista sull’esibizionismo come forma di esaltazione della femminilità, per la prima volta non subordinato alla prerogativa per antonomasia del femminile, la maternità. Nonostante questa ottima intuizione e l’interpretazione sofferta di Anderson, il film ha qualche ingenuità di troppo, soprattutto nel suo storytelling eccessivamente didascalico. Efficaci comunque le immagini tese a enfatizzare il volto del personaggio principali e la scelta della pellicola in 16mm che risulta coerente con quanto raccontato.
Permeato di malinconia e di un devastante senso di solitudine, a suo modo crudo e brutale nonostante lustrini e paillettes, The Last Showgirl non ci risparmia nulla della parabola umana ed emotiva della protagonista ai margini della capitale del gioco d’azzardo. Pamela Anderson regala una performance inedita e struggente, che gioca con suggestioni autoreferenziali (una cinquantenne ingenua e civettuola, eterna ragazzina nel corpo di una pin-up, che ama raccontarsi come una diva di altri tempi). Se l’influenza di Sofia Coppola si fa sempre più evidente – nel soggetto, nello stile, persino nei titoli di testa – Gia Coppola dimostra di essersi comunque “emancipata” dalla sua famiglia nel costruire una storia di marginalizzazione che ha come co-protagonista Las Vegas, regina dell’entertainment e della speculazione, ma anche per questo motivo luogo di finzione dove sentirsi alienati ed emarginati. Las Vegas assume le sembianze di uno scheletro vuoto, addobbato di luci al neon e promesse non mantenute, che balla una danza disperata incapace di fermarsi, proprio come Shelley e Annette (Jamie Lee Curtis) nelle loro coreografie paragonabili a monologhi muti pieni di nostalgia. Interessante lo sguardo della regista sull’esibizionismo come forma di esaltazione della femminilità, per la prima volta non subordinato alla prerogativa per antonomasia del femminile, la maternità. Nonostante questa ottima intuizione e l’interpretazione sofferta di Anderson, il film ha qualche ingenuità di troppo, soprattutto nel suo storytelling eccessivamente didascalico. Efficaci comunque le immagini tese a enfatizzare il volto del personaggio principali e la scelta della pellicola in 16mm che risulta coerente con quanto raccontato.