The Resident
The Resident
Durata
91
Formato
Regista
Juliet (Hilary Swank), una dottoressa che si è da poco traferita a Brooklyn dopo la rottura con il fidanzato, sembra aver trovato l’appartamento ideale ma l’affascinante padrone di casa (Jeffrey Dean Morgan), in apparenza gentile e disinteressato, inizia a essere ossessionato da lei.
Primo lungometraggio del regista finlandese Antti Jokinen, questo film è un thriller psicologico a tinte forti che, collocando l’ambiente domestico al centro della narrazione riesce a garantire allo spettatore una discreta dose di inquietudine in un crescendo claustrofobico che dall’iniziale serenità apparente ci trasporta (letteralmente) nelle intercapedini buie dell’appartamento, perno dell’intera operazione. Se però l’impalcatura è interessante e il materiale di partenza risulta intrigante, non si può dire lo stesso per lo sviluppo narrativo e soprattutto per i protagonisti che, nonostante la buona volontà della Swank e di Morgan, sono destinati a essere caricaturali e sfocati a causa di una sceneggiatura che banalizza le motivazioni che li spingono a reprimere o manifestare pulsioni e desideri. Un’occasione mancata perché il contorno architettonico fatto di specchi, videocamere, buchi di serratura e una gamma cromatica satura e contrastata avrebbe potuto essere riempito meglio: all’aspetto prettamente psicologico, che sarebbe stato di gran lunga più interessante, la pellicola preferisce la rappresentazione fisica della violenza che tra inseguimenti e jump scare abbastanza prevedibili, culmina in un’ovvia carneficina finale.
Primo lungometraggio del regista finlandese Antti Jokinen, questo film è un thriller psicologico a tinte forti che, collocando l’ambiente domestico al centro della narrazione riesce a garantire allo spettatore una discreta dose di inquietudine in un crescendo claustrofobico che dall’iniziale serenità apparente ci trasporta (letteralmente) nelle intercapedini buie dell’appartamento, perno dell’intera operazione. Se però l’impalcatura è interessante e il materiale di partenza risulta intrigante, non si può dire lo stesso per lo sviluppo narrativo e soprattutto per i protagonisti che, nonostante la buona volontà della Swank e di Morgan, sono destinati a essere caricaturali e sfocati a causa di una sceneggiatura che banalizza le motivazioni che li spingono a reprimere o manifestare pulsioni e desideri. Un’occasione mancata perché il contorno architettonico fatto di specchi, videocamere, buchi di serratura e una gamma cromatica satura e contrastata avrebbe potuto essere riempito meglio: all’aspetto prettamente psicologico, che sarebbe stato di gran lunga più interessante, la pellicola preferisce la rappresentazione fisica della violenza che tra inseguimenti e jump scare abbastanza prevedibili, culmina in un’ovvia carneficina finale.