The Ritual
Ghatashraddha
Durata
108
Formato
Regista
Yamuna (Meena Kuttappa), una vedova bambina, vive col padre, che gestisce una scuola vedica residenziale per ragazzi brahmini. Naani (Ajith Kumar), un nuovo studente della scuola, sviluppa con Yamuna un profondo legame affettivo. Yamuna ha una relazione proibita con un insegnante e rimane incinta, tenta il suicidio ma viene salvata da Naani. Quindi cerca di abortire di nascosto, ma alcuni studenti la spiano e rivelano al padre il suo segreto.
L’esordio alla regia per Kasaravalli è un film coraggioso, per il cinema indiano e non solo, in cui si raccontano con precisione elementi scottanti della cultura indiana, dalla condizione della donna all’aborto, toccando e denunciando certi tabù con una consapevolezza e un mordente di grande forza. La casta sacerdotale dei bramini viene mostrata come dittatoriale e chiusa al dialogo, mentre è solo lo sguardo fanciullesco quello che cerca di capire e accogliere le tribolazioni altrui. Con una regia elegante e curata, attenta ai dettagli e capace di scandagliare i sentimenti più profondi dei suoi protagonisti, Kasaravalli mette in scena una tragedia attraverso il rituale che dà il titolo all’opera: un atto di isolamento sociale e di annientamento identitario, che scomunica e allontana con disonore le donne che non rispecchiano le aspettative di purezza e ubbidienza. Qui, le conseguenze di questa sadica tradizione hanno un impatto negativo su tutti i personaggi, quasi a dire che una società ingiusta con anche solo uno dei propri membri è destinata a autodistruggersi. All’ottima attenzione sui volti e sui corpi dei protagonisti, poi, si accompagnano scene naturalistiche fortemente simboliche (dal cobra additato come punizione divina alla foresta che sa essere rifugio o covo di inquietudini) in base all’animo dei personaggi che la attraversano, a volte anche con qualche ridondanza di troppo e con alcuni passaggi didascalici che ne limitano un po' la forza complessiva. Resta comunque una pellicola riuscita e per nulla banale, che non ha perso la sua forza con il passare del tempo.
L’esordio alla regia per Kasaravalli è un film coraggioso, per il cinema indiano e non solo, in cui si raccontano con precisione elementi scottanti della cultura indiana, dalla condizione della donna all’aborto, toccando e denunciando certi tabù con una consapevolezza e un mordente di grande forza. La casta sacerdotale dei bramini viene mostrata come dittatoriale e chiusa al dialogo, mentre è solo lo sguardo fanciullesco quello che cerca di capire e accogliere le tribolazioni altrui. Con una regia elegante e curata, attenta ai dettagli e capace di scandagliare i sentimenti più profondi dei suoi protagonisti, Kasaravalli mette in scena una tragedia attraverso il rituale che dà il titolo all’opera: un atto di isolamento sociale e di annientamento identitario, che scomunica e allontana con disonore le donne che non rispecchiano le aspettative di purezza e ubbidienza. Qui, le conseguenze di questa sadica tradizione hanno un impatto negativo su tutti i personaggi, quasi a dire che una società ingiusta con anche solo uno dei propri membri è destinata a autodistruggersi. All’ottima attenzione sui volti e sui corpi dei protagonisti, poi, si accompagnano scene naturalistiche fortemente simboliche (dal cobra additato come punizione divina alla foresta che sa essere rifugio o covo di inquietudini) in base all’animo dei personaggi che la attraversano, a volte anche con qualche ridondanza di troppo e con alcuni passaggi didascalici che ne limitano un po' la forza complessiva. Resta comunque una pellicola riuscita e per nulla banale, che non ha perso la sua forza con il passare del tempo.