The War – Il pianeta delle scimmie

War for the Planet of the Apes

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

142

Formato

Regista

Lo scontro fra scimmie e uomini si profila inevitabile. Le prime sono riunite intorno a Cesare (Andy Serkis): condottiero giusto e malinconico, quest'ultimo abbandona presto l'idea di raggiungere la pace con la fazione nemica e, per vendicare le perdite subite tra i suoi simili, dichiara guerra alla razza umana. Di fronte a lui si dispiegano gli squadroni corazzati di uno spietato colonnello senza scrupoli (Woody Harrelson).

Il terzo capitolo della saga iniziata con L’alba del pianeta delle scimmie (2011) di Rupert Wyatt e proseguita con Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (2014) di Matt Reeves raggiunge, per la seconda volta consecutiva sotto l’egida dell'autore di Cloverfield (2008), piena maturità stilistica e un apparato spettacolare sempre più avanzato. Acclamato a ragione dalla critica americana, questo nuovo segmento narrativo del reboot dello storico franchise è in assoluto il più cupo e bellico, come suggerisce il titolo, e si concentra in maniera insistita e apocalittica sulla frattura tra la razza umana e quella dei primati, impegnati in una lotta senza esclusione di colpi per stabilire quale sarà la genia a far soccombere l’altra per sempre. Le sfide visive e formali che Reeves mette in campo e con le quali si confronta sono all’altezza della statura di questo regista multiforme e acutissimo, che si lancia già dal prologo in una messa in scena calibrata al millimetro e coreografata con senso della commozione e una tenuta epica altrettanto lampante. Magistrale l’uso dei primi piani e assolutamente ancestrale e inquietante, nel suo radicale contrasto di ferocia e impassibilità, il villain di Woody Harrelson, chiaro debitore del Kurtz di Apocalypse Now (1979). Nel viaggio al termine della notte offerto dallo scontro sanguinoso tra due stirpi, che s’infiamma e non lascia scampo sotto il profilo delle scelte morali e di una compassione tanto faticosa quanto necessaria, a risaltare sono soprattutto la poesia e la misura con cui i sentimenti sono maneggiati. Tale intimismo spassionato e a cuore aperto, per un blockbuster dei nostri tempi, è merce rarissima e quantomai preziosa. Notevole anche il lavoro sull’individualità di Cesare e sulla sua umanità costretta a fare i conti con l’abbrutimento fisiologico dei suoi doveri da condottiero, per non parlare dei tanti rimandi biblici e cristologici, anche se il film risente di un’eccessiva durata e di alcune lungaggini a ridosso degli snodi finali che appesantiscono il disegno complessivo e tendono a ribadire elementi già ampiamente esplorati, come l’opposizione tra natura e cultura. Da rilevare, come al solito, la strepitosa prova in performance capture di Andy Serkis nei panni di Cesare.
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