Welcome to the Happy Days
Welcome to the Happy Days
Durata
105
Formato
Regista
Costretta dall'infortunio della nonna a prendere in gestione l'albergo “Giorni Felici”, l'esuberante FanJu (Chia-yen Ko) recluta l'americano Allen (Andrew Chau) come aiutante tuttofare in cambio di vitto e alloggio. L'iniziale diffidenza lascerà presto spazio a una proficua collaborazione, complici un violino e un romantico segreto mai svelato.
Il regista Gavin Lin abbandona l'abituale territorio sentimentale e realizza una commedia quasi fumettisica che, nelle intenzioni autoriali, dovrebbe omaggiare lo slapstick e la screwball di americana memoria. Peccato che Welcome to the Happy Days si riduca a un'operazione pedestre e approssimativa in odore di (volontaria?) demenzialità: tra fastidiose strizzatine d'occhio allo spettatore (i continui sguardi in macchina da parte dei protagonisti), un ipercolorato ma sciatto stile da sit-com e teatralizzazioni grottesche e macchiettistiche, ciò che emerge è un'indigesta comicità al grado zero, veicolata principalmente dai siparietti (in tutta franchezza pietosi) tra l'insopportabile FanJu e il monoespressivo Allen. Il tutto coronato da cadute nel dramma convenzionale e spicciolo (il rimando alla morte dei genitori di FanJu, il confronto tra questa e la nonna, il destino dell'albergo a rischio pignoramento), incomprensibili stoccate metacinematografiche («La realtà non ha niente a che vedere con i film. Chi scrive i copioni?!») e un happy ending a dir poco becero. Da dimenticare. Presentato al Dragon Film Festival.
Il regista Gavin Lin abbandona l'abituale territorio sentimentale e realizza una commedia quasi fumettisica che, nelle intenzioni autoriali, dovrebbe omaggiare lo slapstick e la screwball di americana memoria. Peccato che Welcome to the Happy Days si riduca a un'operazione pedestre e approssimativa in odore di (volontaria?) demenzialità: tra fastidiose strizzatine d'occhio allo spettatore (i continui sguardi in macchina da parte dei protagonisti), un ipercolorato ma sciatto stile da sit-com e teatralizzazioni grottesche e macchiettistiche, ciò che emerge è un'indigesta comicità al grado zero, veicolata principalmente dai siparietti (in tutta franchezza pietosi) tra l'insopportabile FanJu e il monoespressivo Allen. Il tutto coronato da cadute nel dramma convenzionale e spicciolo (il rimando alla morte dei genitori di FanJu, il confronto tra questa e la nonna, il destino dell'albergo a rischio pignoramento), incomprensibili stoccate metacinematografiche («La realtà non ha niente a che vedere con i film. Chi scrive i copioni?!») e un happy ending a dir poco becero. Da dimenticare. Presentato al Dragon Film Festival.