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Alfonso Cuarón elenca i suoi 12 film italiani preferiti e afferma: «Amo Checco Zalone, è un maestro»

Dopo che nei giorni scorsi sul red carpet avevano sfilato gli ospiti speciali Jessica Chastain, Luca Guadagnino, Quentin Tarantino e Marco Bellocchio, la Festa del Cinema di Roma 2021 ha accolto il pluripremiato regista messicano Alfonso Cuarón

Cuarón ha parlato dei suoi film italiani preferiti e ha lasciato sorpresi i più affermando: “Amo Checco Zalone, è un maestro”.

Ecco, di seguito, la trascrizione dell'Incontro Ravvicinato di mercoledì 20 ottobre.


«La spada nella roccia è il primo film che ho visto, ricordo la barba di Merlino che si attacca alla porta. Il nuovo mondo della Pixar ha portato dentro l’animazione nuove tematiche, ma i film Disney mi piacciono ancora».  

«Il cinema italiano è entrato nella mia vita una sera, avevo 7-8 anni. Mio cugino è venuto a dormire a casa, i miei erano a una Festa, e ho potuto vedere i programmi per adulti. Ho visto Ladri di biciclette e mi sembrava un film d’azione. L’amore per il cinema, da quanto mi ricordo, ce l’ho da tutta la vita, ma quel film mi ha aperto gli occhi su un altro tipo di cinema». 

«Quentin è bravissimo a fare una lista di 10, io no! Per me il cinema italiano è fertile, diversissimo, vastissimo. Fuori dall’Italia molti registi sono quasi dimenticati, purtroppo». 

- Padre Padrone (1977) di Vittorio Taviani, Paolo Taviani - 
Mi attrae il cinema che per me è un mistero, quando non capisco il processo di creazione. C’è una profonda umanità, ma anche un approccio medico, con una disciplina marxista, tutto senza retorica. Anche Pasolini ha portato avanti questo approccio medico, marxista e umanista. 


- I nuovi mostri (1977) di  Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli - 
La specificità di questa commedia all’italiana è parlare di tante cose: c’è la gioia della commedia ma anche l’osservazione sociale e, nel caso di Monicelli, anche la malinconia della vita e una critica fortissima al carattere italiano. C’è anche un casting che è unico nel mondo! In seguito è diventata una celebrazione e non una critica, e per me è un peccato. Amo Checco Zalone però, è un maestro, peccato non sia qui! Mi piace anche Germi, ha affrontato generi diversi in maniera molto profonda ed era uno che colpiva duro. 


- Dillinger è morto (1969) di Marco Ferreri - 
Un regista fondamentale, purtroppo molto dimenticato, il più sovversivo. Sovversivo come Godard ma con l’assurdo di Buñuel e una diagnosi davvero precisa della società e, più importante, del maschio: è stato fatto cinquant’anni fa, ma è attuale. Ha fatto film in Italia, poi in Francia ma ha iniziato in Spagna con due commedie, El Cochecito e El pisito, bellissime ma accademiche. Poi è come se avesse detto a se stesso di non essere un cineasta professionista e si è dato il permesso di fare tutto, come in Non toccare la donna bianca e Ciao, maschio, che ha girato a New York con Depardieu e Mastroianni. Quel film è un casino ed è divertente. La costumista di Ferreri mi disse che la vera ragione per fare La grande abbuffata era che Tognazzi, Mastroianni e Piccoli mangiavano sempre, per cui Ferreri disse facciamoli morire mangiando. L’opera di Ferreri è come un incidente per strada, non puoi guardare da un’altra parte. E Dillinger è morto è un film silente, quasi muto, ci saranno due battute in tutto il film. L’America oggi è poco interessata al sovversivo; in Francia Leos Carax, con Holy Motors, sicuramente lo è. 



- Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi - 
Solo nella scena in cui la madre lo piange si vede il bandito in carne e ossa. Il resto non è una ricostruzione, è una mitologia di Salvatore Giuliano e dell’impatto di una vita. La madre di Salvatore è LA madre, tutte le madri del mondo che piangono, è la Pietà. Come se Rosi ti dicesse: questo sei tu. L’approccio all’evento storico, per la sua disciplina, sicuramente anticipa La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. È un film naturalista, non realista, con una straordinaria fotografia di Gianni Di Venanzo: un terreno bianco, difficilissimo, con un sole fortissimo. Penso anche maestri come Giuseppe Rotunno, Ruggero Mastroianni, 


- L’uomo meccanico (1921) di André Deed -
Quando si parla del cinema italiano si dimentica spesso il cinema muto. Questo film serve a menzionare l’importantissimo movimento futurista. Il regista è francese ma la produzione e il film sono italiani ed è interessantissimo perché è il primo esempio di robot nel cinema, il design anticipa Metropolis. Dura 45 minuti e c’è un robot che si trasforma in un pericolo per la gente, è Terminator 70 anni prima e l’ha fatto il cinema muto italiano. Ha un finale felice anche, come il primo Terminator è vero, forse Cameron l’ha plagiato! 


- I compagni (1963) di Mario Monicelli - 
È un film tragico, ma anche diverso da altri che lui ha fatto. Per Mastroianni era tutto facile, con lui avevi la sensazione che fosse tuo amico, come se lo conoscessi. In virtù di questa sua qualità poteva correre il rischio di fare personaggi dubbiosi: lo spettatore non lo giudica, è il mio attore preferito della storia del cinema. So che guardava il processo di fare cinema e non il film, era la gioia di lavorare con la gente sul set, la vita, e infatti tutto nei suoi personaggi è pieno di vita. 


- C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola - 
Scola è un cineasta che amo davvero, con una carriera anche variegata. Il suo primo film è più vicino alla commedia. Questo film racconta di come a volte in mondo cambi, ma certe convinzioni rimangano oneste. Il personaggio di Gassman invece si corrompe. L’inizio di questo film ha una preoccupazione più formale che poi Scola ha portato avanti nella sua carriera. L’approccio italiano al melodramma è più realista di quello americano, il suo cemento è il contesto sociale. Questi registi lavoravano in un’epoca fin troppo ideologizzata della Storia, molti aderivano a un partito preciso, eppure non sono film ideologici. 



- La dolce vita (1960) di Federico Fellini - 
In una sequenza di Roma, ho utilizzato il vento di Fellini, che c’è sempre, in Amarcord, La dolce vita ovviamente, E la nave va. Fellini è il regista fondante del cinema moderno, è interessante nella sua opera la transizione dal post-neorealismo all’imbracciare il fellinismo, in modo unico e sempre con l’ossessione della donna. Era anche un grande tecnico, un maestro.


 - Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino -
A volte, per provocare, dico che la narrazione è il veleno del cinema. Il cinema può esistere senza musica, senza attori, il colore, il suono, la storia ma non può esistere senza il principio della camera che è il tempo. E Frammartino è un maestro dell’osservazione del tempo e del flusso dell’esistenza nel tempo. Questo per me è uno dei film più importanti di questo secolo, e, come Padre padrone, è un film misterioso per me, non capisco da dove arrivi l’approccio creativo e come Frammartino l’abbia costruito nella sua mente. La narrazione si può incontrare ovunque, di questo film se ne possono dare cinque versioni narrative diverse, ma non è importante. L’importante sono i vestiti stesi, non il filo che li sostiene. Gli abiti a volte sono i personaggi, a volte il tempo, a volte un’ossessione tematica, come in Steve McQueen oggi con le sue preoccupazioni formali o con Apichatpong Weerasethakul tra i videoartisti: il filo non conta. Sokurov, Reygadas, Ceylan, Albert Serra, Costa sono per me oggi dei cineasti puri, che hanno la preoccupazione del tempo. 


- Respiro (2002) di Emanuele Crialese - 
Questo film ha preso tutta la lezione del cinema italiano degli anni ’40, ’50 e ’60. Se vedi Valeria Golino, che è bravissima nel film, e l’inizio, pensi a Visconti, al primo Rossellini. C’è il personaggio che si confronta con l’habitat naturale, ma, dopo è un’esplosione di Crialese puro, è un cinema più moderno, più astratto, ancorato però a una realtà che non è data solo dal contesto ma anche dalle emozioni. Ho una profonda ammirazione per il cinema di Emanuele. 


- Miele (2013) di Valeria Golino - 
Valeria non è solo una grande attrice ma anche uno dei registi moderni più importanti. L’ho visto a Londra questo film, lei è una sicurezza come regista, si affida al momento e all’onestà dei momenti. Il film, un pezzo dopo l’altro, dà l’idea che quello che accade succeda realmente. Non vedo la tecnica, anche se la natura del cinema è che la tecnica sia parte del linguaggio. Con Miele Valeria fa sì che questa tecnica sparisca, tutto il personaggio è in primo piano, senza sentimentalismo, in modo dritto, senza retorica e senza giustificazioni. Valeria mette tutto a distanza ed è il potere del film. 



- Lazzaro felice (2018) di Alice Rohrwacher - 
Oltre a Pasolini e Olmi ci sono anche i Taviani per questa componente mistica e spirituale. Come in Respiro di Emanuele Crialese è stata recepita tutta la lezione dei maestri ma si va a cantare con la propria voce, è questo che lo rende così speciale. C’è la ricerca della bontà dell’umanità, con una preoccupazione per il dolore sociale.»

A cura di Davide Stanzione 

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