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10 film d'autore per la festa della mamma

Per celebrare la festa della mamma abbiamo deciso di selezionare 10 pellicole d'autore in cui i registi hanno deciso di regalare alla figura materna un ruolo fondamentale. Ve le presentiamo in rigoroso ordine cronologico:

1) La madre (Vsevolod Pudovkin, 1926)



La madre è una perfetta sintesi delle idee formali del regista, che nel corso della sua carriera di teorico del cinema elaborò una concezione della settima arte tutta basata sulla centralità del montaggio, uno strumento che fosse in grado non solo di garantire autonomia artistica all'autore di una pellicola e al prodotto cinematografico, ma anche di veicolare il respiro epico del film attraverso una molteplicità di soluzioni formali. Tutte cose che il grandioso lungometraggio di Pudovkin riesce a fare in modo magistrale, delineando alla perfezione il contesto storico sovietico dell'epoca non solo attraverso lo spessore dell'impianto drammaturgico ma anche grazie alla forza dei personaggi e in particolar modo della donna protagonista: figura eccezionale e allo stesso umanissima di madre di famiglia, fragile ma dalla volontà di ferro e dallo spirito di sacrificio encomiabile, che incappa in un tragico e fatale errore ma si riscatta col gesto finale. 

2) Lo specchio della vita (Douglas Sirk, 1959)



Al suo ultimo lungometraggio, prima di ritirarsi dalle scene per stabilirsi in Svizzera, dove rimarrà fino alla fine dei propri giorni, Douglas Sirk (1897-1987) realizza una delle sue opere più ambiziose, quella che va più in profondità nel mettere in scena le contraddizioni e gli ottusi pregiudizi di una società (americana) che spinge all'odio e alla menzogna. Melodramma definitivo divenuto una pellicola di culto in seguito alla rivalutazione del regista tedesco condotta negli anni '70, Lo specchio della vita carica di denso significato metaforico la fragilità della donna, il complesso rapporto madre-figlia, lo scontro derivante dal pregiudizio, i sogni infranti, la condanna alla sofferenza.

3) Psyco (Alfred Hitchcock, 1960)



Grazie ai consigli della moglie e collaboratrice Alma Reville, il regista ebbe una straordinaria intuizione narrativa: far morire la protagonista dopo soli quarantacinque minuti. L'omicidio, apice di un film di cui si potrebbe ricordare ogni singola inquadratura, rimane ancora oggi una delle sequenze più studiate e citate della storia del cinema: un montaggio impressionistico fatto di violenti tagli visivi, così da seguire il ritmo degli effetti sonori ed eludere la censura dell'epoca. Psyco è in definitiva una maestosa opera d'arte, inquietante, seminale dal punto di vista cinematografico (diversi i filoni successivi che presero spunto dal film) e dai profondi e mai abbastanza sviscerati connotati sociologici (le paure più recondite degli Stati Uniti del periodo).

4) Mamma Roma (Pier Paolo Pasolini, 1962)



Al centro delle sue indagini narrative c'è nuovamente il sottoproletariato delle borgate romane, descritto come l'unica classe sociale ove è ancora possibile scorgere un barlume di umana vitalità, nonostante ogni sua aspirazione a un avanzamento sociale sia destinata alla tragedia. Così Mamma Roma e suo figlio Ettore, le cui vicende si incrociano e si influenzano reciprocamente, compiono lo stesso percorso di Vittorio Cataldi detto “Accattone”, tra grande desiderio di vita e sacrale predestinazione a una sconfitta dal sapore di sacrificio. 

5) Quei bravi ragazzi (Martin Scorsese, 1990)



L'amore di Martin Scorsese per la sua famiglia è noto, in particolare per sua madre, Catherine. Gli appassionati del grande regista lo sanno sicuramente, ma la signora che siede accanto a Joe Pesci in Quei bravi ragazzi è proprio la mamma di Scorsese, cui lui ha voluto rendere omaggio inserendola in una delle sue opere migliori.

6) Madre e figlio (Alexandr Sokurov, 1997)



Va annoverato tra i titoli più importanti nella produzione del cineasta russo Sokurov questo sublime e doloroso cantico di pietas sull'amore filiale, capace di elevarsi su registri di straordinario valore artistico e struggente lirismo. I due protagonisti sono le uniche figure umane che popolano lo spazio e il tempo del film, mentre la natura che li circonda sembra custodire la risposta all'enigma della sofferenza e della morte.

7) Tutto su mia madre (Pedro Almodóvar, 1999)



Tutto su mia madre rappresenta per Pedro Almodóvar una sfida personale estrema, che si può considerare vinta. Egli concentra, infatti, nei cento minuti del film, i temi essenziali del proprio universo etico e artistico, riprendendo la riflessione su genitori e figli (onnipresente nella sua filmografia, da Matador del 1986 ai successivi Volver del 2006 e Gli abbracci spezzati del 2009) con un'audace contaminazione di generi, non solo cinematografici (videoclip, teatro, show televisivi).

8) Changeling (Clint Eastwood, 2008)



In mezzo, si staglia il ritratto di una madre forte, determinata, vittima paradossale di un sistema guasto e intenzionata a far valere la verità a tutti i costi. Un'eroina difficile da dimenticare, interpretata con vigore da un'intensa Angelina Jolie (candidata all'Oscar). Notevole anche la confezione, in cui svettano la magnifica fotografia di Tom Stern e le musiche firmate dallo stesso regista.


9) Madre (Bong Joon-ho, 2009)



Uno straziante, commosso e ambiguo ritratto di madre, che riflette sui condizionamenti dovuti ai legami affettivi, ma anche sulle possibilità infinite e sui gesti impensabili che un amore spropositato come quello materno può generare. Nel film di Bong, degno di una tragedia euripidea, albergano vendetta, sangue, esplosioni di violenza, bruciature e lampi improvvisi, che vanno a contrappuntare una narrazione spesso piana e dimessa, ma anche momenti all'insegna della pura costruzione poetica, come l'inizio e la parte finale, che si rispecchiano l'uno nell'altro generando una vera e propria struttura ad anello.

10) Mia madre (Nanni Moretti, 2015)



Mia madre è in assoluto uno dei lungometraggi di Moretti più asciutti e controllati, un'opera rigorosa nella commozione, mai ricattatoria, tutta all'insegna di un pudore castissimo e levigato. Una disarmante dichiarazione d'inadeguatezza da parte dell'autore dinanzi al dolore dell'esistenza, che accarezza l'anima dello spettatore senza narcisismo commiserativo, sebbene il livello di coinvolgimento personale del regista nella storia narrata, compresi alcuni eventi e situazioni riportati esattamente come sono accaduti, sia di fatto del cento per cento, restituendo un realismo viscerale nel trattare argomenti quanto mai scomodi come il lento declino fisico di una persona amata.

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