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Sully, Il corriere — The Mule, Richard Jewell: il fattore umano secondo Clint 

«Possiamo fare sul serio ora?»

«Comandante?»

«Ci avete detto delle simulazioni computerizzate e ora stiamo guardando quelle fatte dai piloti. Non riesco a credere che ancora non abbiate preso in considerazione il fattore umano»

In questo dialogo, pronunciato da Chesley “Sully” Sullenberger (Tom Hanks) nelle battute finali di Sully, si racchiude una dimensione fondamentale della poetica di Clint Eastwood: l’umanità, che va oltre al racconto. Oltre i fatti, ci sono le persone, i protagonisti che quegli eventi li hanno vissuti. In tal senso è possibile pensare ad una trilogia con gli ultimi tre grandi film di Eastwood: lo stesso Sully (2016), Il corriere — The Mule (2018) e Richard Jewell (2019). Eventi differenti, storie differenti, accomunati da due elementi, imprescindibili: sono fatti realmente accaduti in cui ciò che conta è l’individuo, l’uomo (spesso solo, per volontà o meno) che vi ha preso parte.

SULLY: ciò che è accaduto all’uomo dietro al miracolo sull’Hudson

Sully (film) - Wikipedia

15 gennaio 2009: un aereo parte dall’aeroporto di LaGuardia, a New York, ma dopo pochi istanti dal decollo uno stormo di uccelli mette fuori uso entrambi i motori. Ai comandi, Chesley Sullenberger, detto Sully, che con una manovra rischiosa, ma efficace, mette in salvo tutti i 155 presenti grazie ad un atterraggio di fortuna sull’Hudson. Eppure, si apre un processo: avrebbe potuto tentare un atterraggio più sicuro in un altro aeroporto? 

Questo il motore della vicenda, che a conti fatti si risolve negli ultimi minuti dell’opera, quando si entra nel vivo del processo giudiziario. Ma in atto c’è un altro processo, che avviene nella mente di Sully, l’uomo (quasi) solo di fronte ad un evento straordinario che ora si sta rivoltando in maniera paradossale contro di lui: non è nemmeno questo senso di ingiustizia che interessa a Clint, che invece mostra in diverse occasioni gli incubi del protagonista, che siano ad occhi aperti o durante il sonno. Disturbo post traumatico da stress? Forse. Ma i primissimi piani, gli sguardi, le espressioni di Sully raccontano la sua anima che è ancora su quel volo, sul luogo dell’incidente, con cui si apre e si chiude la pellicola. Inoltre non mancano i riferimenti più ampi alla storia americana più recente, una ferita che dopo 15 anni (considerando la release date del film) ancora sanguina: «Era da un po’ che New York non aveva notizie così belle. Soprattutto con un aereo di mezzo». La grandezza di Sully sta nella capacità di mescolare pubblico e privato, eventi di cronaca ed emozioni personali di un protagonista che non pensa di essere il “fattore X” più di quanto non lo siano tutti coloro che sono intervenuti in quell’evento incredibile.

«Non mi sento un eroe. Sono solo un uomo che faceva il suo lavoro»

«L’uomo giusto al momento giusto, direi».

E, come lui, anche il protagonista dell’ultimo film di Clint Eastwood: Richard Jewell.

RICHARD JEWELL: «Si sospetta sempre di chi trova la bomba»

Richard Jewell, una vicenda da cinema civile che chiude la ...

27 luglio 1996: Richard Jewell (Paul Walter Hauser), guardia di sicurezza per la AT&T, scopre degli zaini sospetti nei pressi dello stadio delle Olimpiadi e avvisa immediatamente la polizia. Il suo intervento permette di evacuare tempestivamente la zona, salvando così innumerevoli vite: celebrato come un eroe, il ragazzo in breve tempo diventa vittima dell’accusa dell’FBI, che lo accusa di aver organizzato lui stesso l’attentato, rendendolo quindi il primo sospettato.

Le analogie con Sully non sono poche, a partire da un gesto, a tutti gli effetti eroico, ma che in breve tempo si rivolta contro a chi lo ha compiuto. In questo caso, in maniera ancora più feroce e subdola. Infatti, la trama offre a Clint Eastwood la possibilità di parlare (male) del potere della stampa e dei media in generale, capaci con le loro prime pagine e con i titoli sensazionalistici di demolire l’esistenza di un uomo e della sua famiglia. Da eroe a carnefice, il passo è brevissimo. Ancora una volta, infatti, è questa la dimensione su cui focalizza l’attenzione Clint: il processo c’è, l’indagine dell’FBI sono mostrate, ma più di tutto viene raccontato come Richard e sua madre (Kathy Bates) vivano questa situazione e ne siano schiacciati, quasi annientati, prima di tutto nell’anima. Lui, come del resto viene esplicitato nel film, risponde al «profilo dell’attentatore solitario: frustrato, aspirante poliziotto», ingenuo al punto da riuscire a farsi manipolare da chi sembra abbia scelto lui come colpevole, prima ancora di verificarlo: in casi complessi, un capro espiatorio fa sempre comodo. «Lo accusano due delle forze più potenti del mondo: il governo degli Stati Uniti e i media!»: una frase secca, riassuntiva del significato profondo di un film con cui Clint Eastwood dimostra di avere ancora uno sguardo lucido e di saper leggere e raccontare la realtà come pochi al mondo. 

IL CORRIERE — THE MULE: «Il tempo non si compra»

Il Corriere - The Mule - Film (2018) - MYmovies.it

2017: dopo una vita da floricoltore in cui ha completamente messo da parte gli affetti familiari, Earl Stone (Clint Eastwood) è rimasto totalmente solo e senza un soldo. Alla festa per il matrimonio di sua nipote, Earl viene avvicinato da un ragazzo che gli offre un lavoro come corriere, senza spiegargli alcun dettaglio: è così che in breve tempo trasporterà droga per il cartello di Sinaloa.

L’incredibile storia vera di Leo Sharp è l’occasione giusta per Clint Eastwood di tornare a recitare e dirigere un film nello stesso momento, come non accadeva ormai da 10 anni, per Gran Torino. Eppure, un evento tanto singolare non è il fulcro su cui porre l’attenzione, è quasi un contorno e un pretesto per poter parlare di argomenti ben più profondi, di ciò che si nasconde dietro alla vicenda. Emerge quindi che Earl e lo sceriffo che gli dà la caccia (Bradley Cooper) siano l’uno lo specchio dell’altro: entrambi maltollerano la tecnologia, entrambi dediti al lavoro al punto da anteporlo alla vita privata. In tal senso, è interessante  il dialogo tra i due, quando lo sceriffo si rende conto di aver dimenticato il suo anniversario di nozze: in quel momento è come se Earl rivedesse se stesso da giovane, e provasse a far sì che il ragazzo non commetta i suoi errori. Dopotutto, è proprio lui a esplicitarlo: «La famiglia è la cosa più importante, non fate come me. Ho anteposto il lavoro alla famiglia. Pensavo fosse più importante essere qualcuno da un’altra parte invece del fallimento vero a casa mia. Sono stato un pessimo padre, un pessimo marito. Ho rovinato tutto». Si respira tanta nostalgia in questo gioiello, che tanto somiglia a un western moderno per le riprese a perdita d’occhio sulle strade americane e per gli scontri tra bande di narcotrafficanti, in cui tuttavia la famiglia assume un valore imprescindibile, e l’averla trascurata un peccato per cui provare a redimersi. Genuino, sentito: in quest’opera Clint Eastwood ha messo molto di sé stesso e della sua vita, dei suoi ruoli passati, regalando ancora una volta una costante della sua poetica, qualcosa che non l’ha mai abbandonato: una storia capace di arrivare al cuore di chi la osserva, meravigliato. 

Lorenzo Bianchi

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