30 notti con il mio ex

Bruno (Edoardo Leo), ansioso da manuale, si lascia convincere dalla figlia adolescente a ospitare per un mese la sua ex moglie Terry (Micaela Ramazzotti), appena uscita da un lungo ricovero psichiatrico. Sono solo 30 notti del resto, cosa potrà mai andare storto? Eppure, l’esuberanza di Terry e la sua schiettezza mettono a dura prova la routine di Bruno, incastrato in una relazione che non fa scintille e in un lavoro in cui non riesce a imporsi come vorrebbe...

Remake di un film spagnolo, 30 noches con mi ex (2022), diretto da Guido Chiesa, regista con alle spalle molte vite e filoni diversi, 30 notti con il mio ex è una commedia italiana “di sistema” che prova a intavolare con garbo e ironia il tema della salute mentale, trovando in Leo e Ramazzotti due interpreti calzanti e agli antipodi, capaci di pennellare a dovere (un po’ come i quadri dipinti da Terry) le divergenze tra due personaggi accomunati da un passato in cui il loro rapporto era stato estremamente intimo, segnato da un sentimento amoroso profondo e inalienabile. Se il copione prova a tratteggiare con verosimiglianza il passato di entrambi - ex calciatore e difensore “Terminator” diventato manager economico lui, donna con problemi di schizofrenia lei, che sente le voci nella testa - molte situazioni, specie quelle legate all’esplorazione di temi psicologici, appaiono eccessivamente bozzettistiche e tirate via. Leo riesce comunque a tratteggiare con sdrucita simpatia il suo Bruno, aggiungendo un altro perfetto common man italico ai tipici caratteri della sua filmografia, mentre Ramazzotti appare senz’altro misurata e delicata nel tratteggiare l’interiorità di Terry, svampita dal cuore d’oro, come molti altri ruoli femminili dell’attrice de La pazza gioia (2016), appena uscita da un lungo percorso di recupero emotivo; i suoi compagni di degenza, però, sono poco più che delle macchiette, un po’ troppo semplicisticamente connotate sia dal punto di vista delle deformità fisiche che da quello delle bizzarre, ma spesso esilaranti, (dis)funzionalità sociali. Divertenti - e tra le più riuscite dell’intero film, dai toni tutto sommato piuttosto agrodolci - le sequenze che vedono per protagonisti i vicini di casa di Bruno, interpretati da Andrea Pisani e Beatrice Arnera, mentre alcuni personaggi di contorno interpretati da star comiche del web, come Claudio Colina, mostrano senz’altro la corda. Interessante esordio di Gloria Harvey nei panni di Emma, la figlia di Bruno in grado di tratteggiare con verosimiglianza, forte schiettezza e auto-consapevolezza la generazione Z, la sua sensibilità e le sue istanze di maggiore apertura verso i disagi altrui rispetto a coloro che, anagraficamente, li hanno preceduti. Anna Bonaiuto, con la consueta classe, interpreta in una manciata di scene Angela, psichiatra e psicoterapeuta incaricata di seguire Terry nel suo percorso di reinserimento sociale contrassegnato anche dal ricorso al kintsugi, l’arte giapponese nata a fine ‘400 che consiste nel ricomporre, anche in chiave simbolica, degli oggetti di ceramica (in origine erano in particolare le tazze da the a essere riparate con l’oro), evidenziandone le fratture senza per questo rinunciare alla bellezza dell’oggetto in sé nelle sue storture e peculiarità. Sceneggiato dallo stesso Chiesa con Nicoletta Micheli, prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai per Colorado Film (in collaborazione con Netflix), specialisti dei rifacimenti negli ultimi proprio in combutta con Chiesa, e distribuito da PiperFilm, già responsabile della diffusione in sala di Parthenope (2024) di Paolo Sorrentino e La città proibita (2025) di Gabriele Mainetti. In colonna spicca sui titoli di coda la canzone L’avresti detto mai, co-scritta e interpretata da Malika Ayane.