American Pastoral

American Pastoral

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

126

Formato

Regista

Anni Sessanta: Seymour Levov (Ewan McGregor), detto “Lo svedese”, è un ragazzo ebreo del New Jersey con una vita in apparenza felice e inappuntabile. La situazione però precipita quando la figlia (Dakota Fanning) viene invischiata in un atto terroristico gravissimo…

Arrivato un po’ in extremis al timone di un progetto che altrimenti avrebbe seriamente rischiato il naufragio, l’attore scozzese Ewan McGregor esordisce dietro la macchina da presa con l’adattamento cinematografico del monumentale e celeberrimo romanzo di Philip Roth, Premio Pulitzer nel 1998. La sfida era titanica e colossale, data la prosa incomparabile del grande scrittore americano, che già in passato al cinema è stato vistosamente banalizzato da adattamenti pedestri o incolori, per usare un quieto eufemismo. Anche McGregor, nonostante l’ammirevole coraggio misto a spregiudicatezza male in arnese nel confrontarsi con una materia così ingombrante, non può dire di essere rimasto incolume né tantomeno di essere uscito a testa altra dal confronto con il testo rothiano: la sua trasposizione infatti non è altro, come si poteva intuire, di una riduzione semplificatoria e al ribasso del romanzo, banalizzato a ridosso di soluzioni cinematografiche sfiatate e spesso esili e banalissime; se Roth è in grado, con le sue parole, di costruire una macro-narrazione sull’America capace di intrecciare particolare e universale, pubblico e privato, nelle beghe oscure della tragedia familiare narrata dall’acerbo McGregor si riscontra soltanto l’ansia da prestazione di non disperdere eccessivamente l’asse narrativo principale del volume di partenza. L’esito complessivo risente di tale vocazione indirizzata al minimo sindacale e il risultato finale è un melodramma familiare nemmeno troppo interessante, tanto paludato quanto patinato, pieno di svirgolate enfatiche e retoriche tutt’altro che presenti nel romanzo e di un manicheismo di fondo anch’esso alieno rispetto a Roth, specialmente per quel che riguarda la trattazione dell’elemento femmineo della vicenda. La cura della confezione e le diligenti interpretazioni degli attori, su tutti una Jennifer Connelly decisamente in parte e più efficace del comunque volenteroso McGregor, non bastano affatto. La sceneggiatura di John Romano, autore per la televisione e originario di Newark proprio come Roth, è meccanica e bidimensionale e scende spesso sotto il livello di guardia, risolvendo in maniera univoca personaggi e situazioni ben più sfaccettati (specie nella seconda parte, laddove invece il testo di Roth deflagrava). Balbettanti e invadenti musiche del solito Desplat. David Strathairn interpreta Nathan Zuckerman, famoso scrittore e alter ego di Roth per antonomasia. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Toronto.
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