Apenas un delincuente
Apenas un delincuente
Durata
88
Formato
Regista
José Morán (Jorge Salcedo) è un impiegato di banca con il vizio del gioco. Stanco di indebitarsi e di non guadagnare abbastanza, decide di truffare i suoi superiori, sicuro di uscire di prigione dopo sei anni con tutto il denaro che gli serve.
Ultima pellicola argentina di Fregonese prima di lavorare per i quindici anni successivi negli Stati Uniti e poi in Europa. È anche il suo film di maggiore successo di critica: presentato in concorso a Venezia e apprezzato da Hollywood che volle appunto il regista tra le proprie fila. Inizia come un noir in cui Buenos Aires, “la città dai nervi eccitati”, fa da sfondo urbano alienante e instancabile per una società sempre più povera e ossessionata dal denaro. Il film fatica un po' a carburare, ma la seconda parte è un solido dramma carcerario, decisamente in crescita col passare dei minuti, che mischia realismo (il soggetto è del resto tratto da varie storie vere) con la giusta dose d’azione. Il protagonista è un uomo sgradevole che mette a repentaglio tutto per la sola idea della ricchezza, ma a essere davvero portata in giudizio è la società peronista, che grida al miracolo economico quando la realtà della popolazione è tutt’altra. Denuncia coraggiosa mascherata abbastanza efficacemente da non subire censura, ma anche sufficientemente esplicita da arrivare con potenza allo spettatore. Nonostante i mezzi più limitati rispetto alle produzioni hollywoodiane, questo noir riesce a distinguersi tra i film dello stesso genere sia per l’incisività della scrittura che per la qualità tecnica, mentre va un po' a peccare in alcuni passaggi di maniera e a causa di qualche didascalismo di troppo. Fregonese non riuscì più a dirigere un film altrettanto riuscito durante le sue trasferte estere, ma il suo talento è qui limpido e lampante. Nei panni della conturbante donna del casinò, Faith Domergue, allora moglie del regista ed ex musa di Howard Hughes.
Ultima pellicola argentina di Fregonese prima di lavorare per i quindici anni successivi negli Stati Uniti e poi in Europa. È anche il suo film di maggiore successo di critica: presentato in concorso a Venezia e apprezzato da Hollywood che volle appunto il regista tra le proprie fila. Inizia come un noir in cui Buenos Aires, “la città dai nervi eccitati”, fa da sfondo urbano alienante e instancabile per una società sempre più povera e ossessionata dal denaro. Il film fatica un po' a carburare, ma la seconda parte è un solido dramma carcerario, decisamente in crescita col passare dei minuti, che mischia realismo (il soggetto è del resto tratto da varie storie vere) con la giusta dose d’azione. Il protagonista è un uomo sgradevole che mette a repentaglio tutto per la sola idea della ricchezza, ma a essere davvero portata in giudizio è la società peronista, che grida al miracolo economico quando la realtà della popolazione è tutt’altra. Denuncia coraggiosa mascherata abbastanza efficacemente da non subire censura, ma anche sufficientemente esplicita da arrivare con potenza allo spettatore. Nonostante i mezzi più limitati rispetto alle produzioni hollywoodiane, questo noir riesce a distinguersi tra i film dello stesso genere sia per l’incisività della scrittura che per la qualità tecnica, mentre va un po' a peccare in alcuni passaggi di maniera e a causa di qualche didascalismo di troppo. Fregonese non riuscì più a dirigere un film altrettanto riuscito durante le sue trasferte estere, ma il suo talento è qui limpido e lampante. Nei panni della conturbante donna del casinò, Faith Domergue, allora moglie del regista ed ex musa di Howard Hughes.