Ari (Andranic Manet), un giovane insegnante ventisettenne, in seguito ad un esaurimento nervoso sul posto di lavoro, decide di abbandonare l’insegnamento. Poco dopo, viene cacciato di casa dal padre. Perso, disorientato e senza punti di riferimento, si ritrova a vagare spaesato per le strade di Lille. In questo periodo di crisi, ritrova alcuni vecchi amici, con i quali riscopre legami e parti di sé che aveva dimenticato. 

Léonor Serraille, autrice che si era già fatta notare in ambito festivaliero con i precedenti Montparnasse - Femminile singolare (2017) e Due fratelli (2022), scrive e dirige un intenso e toccante ritratto generazionale, girato dinamicamente in pellicola 16mm. Già dal toccante ricordo d’infanzia che apre il film, a cui fa da contraltare lo spaesamento psico-emotivo che avvolge il protagonista - ormai adulto - nella sequenza successiva, la regista sviluppa per tutto il film con grande coerenza formale una profonda connessione emotiva tra spettatore e protagonista, interpretato da un magnetico Andranic Manet, seguendolo da vicino con la macchina da presa in ogni singola espressione del volto e registrandone le continue oscillazioni emotive. Il suo Ari è un’anima errante, smarrita ed estremamente fragile, che trova un suo ideale corrispettivo nel quadro L’uomo che dorme di Carolus-Duran, conservato al Museo delle Belle Arti di Lille e davanti al quale il protagonista trascorre intere giornate. Eppure, nonostante le sue evidenti fragilità, Ari ha la sorprendente capacità di mettere a nudo gli altri attraverso alcune semplici domande e uno sguardo sincero e senza filtri che sembra poter penetrare le corazze accumulate nel corso della vita. Accanto ai già citati riferimenti pittorici (oltre a Carolus-Duran viene evocato anche Odilon Redon) spicca anche quello cinematografico all’opera del 1963 di Louis Malle Fuoco Fatuo, altro racconto del vagare inquieto ed errante di un uomo depresso, pieno di domande e alla ricerca di un significato. Nonostante qualche passaggio meno riuscito nella parte centrale, il film convince per larghi tratti (ottima la sequenza iniziale), proprio grazie alla sua grande coerenza di sguardo, generando un ritratto profondamente sincero e toccante. Buona prova di tutto il cast che – come dichiarato dalla regista - ha improvvisato diverse sequenze con risultati notevoli. Presentato in concorso alla Berlinale 2025.






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