1984. Cinque liceali (Molly Ringwald, Ally Sheedy, Judd Nelson, Emilio Estevez, Anthony Michael Hall), eterogenei tra loro per indole e abitudini, vengono costretti dal preside Vernon (Paul Gleason) a restare chiusi in biblioteca un intero sabato pomeriggio, per “formulare” un tema sulle loro personalità e le loro aspettative. Ne usciranno cambiati.

Al di là dei difetti – un semplicismo forse eccessivo – non è difficile immaginare le ragioni per cui Breakfast Club sia diventato il simbolo del brat pack (sottogenere popolare negli anni '80 sul mondo adolescenziale dell'epoca), e uno dei film di maggiore culto per una generazione. Oltre alla bellissima Don't You (Forget About Me) di Keith Forsey e Steve Chiffs cantata dai Simple Minds, oltre al talento dell'intero cast, oltre alle ambientazioni malinconiche e nostalgiche, c'è la precisa volontà di John Hughes (anche sceneggiatore) di rappresentare, in maniera lieve e quasi indolente, i dolori di un gruppo di ragazzini malandati e costretti a una prigionia inattesa. Su tutto, i sentimenti: la voglia di riscatto, la fuga dalle convenzioni, il silenzio dei patimenti. Molto bella la sequenza della fuga tra i corridoi nel liceo, in cui la macchina da presa asseconda i personaggi e li insegue, visibilmente divertita. Una rabbia giovanile diluita e decisamente estetizzante, portata sullo schermo attraverso uno schema che ha generato numerosi epigoni. Il finale crea un senso di tristezza che non abbandona più.
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