
Il canto di Paloma
La teta asustada
Durata
95
Formato
Regista
Perù: Fausta (Magaly Solier) viene a sapere dalla madre in punto di morte di essere stata sempre allattata con il cosiddetto "latte della tristezza", perché durante gli anni '80, periodo di rivoluzioni e terrorismo, la povera donna venne violentata, ereditando un trauma senza ritorno. Vissuta sempre nel terrore nei confronti di qualsiasi uomo, tramite l'allattamento la donna ha trasmetto questa "malattia" alla figlia.
Un'opera impegnata e introspettiva, in grado di dipingere il dolore di un'intera nazione attraverso le sofferenze personali dei singoli individui, unendo particolare e universale nel medesimo abbraccio: nella fattispecie il patimento di una donna vittima della violenza degli uomini o, più semplicemente, della possibilità che tale violenza si manifesti nuovamente. La regista Claudia Llosa, che con questa pellicola ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2009, fa procedere il suo lungometraggio per rimandi cifrati, attraverso eventi e accadimenti solo suggeriti e accennati, oltre che filmati senza badare troppo all'eloquenza del disegno complessivo, in modo tale da rendere l'indagine psicologica sui personaggi sempre più segreta e intima, con lo spettatore chiamato a condividere tale rispettoso mistero, tra sguardi ravvicinati, zoomate, attimi epifanici. Un approccio stilistico che a lungo andare produce però un'inconsistenza un po' eterea, poco concreta quando c'è da tirare le somme sul piano estetico e altrettanto priva di mordente sul terreno della denuncia agli scheletri nell'armadio della storia peruviana, non approfondita al punto giusto. Scenografia fortemente simbolica: il lungo indugiare sulle ante delle finestre non del tutto aperte da parte di Fausta, ad esempio, è un'allegoria della paura di aprirsi al mondo esterno piuttosto evidente.
Un'opera impegnata e introspettiva, in grado di dipingere il dolore di un'intera nazione attraverso le sofferenze personali dei singoli individui, unendo particolare e universale nel medesimo abbraccio: nella fattispecie il patimento di una donna vittima della violenza degli uomini o, più semplicemente, della possibilità che tale violenza si manifesti nuovamente. La regista Claudia Llosa, che con questa pellicola ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2009, fa procedere il suo lungometraggio per rimandi cifrati, attraverso eventi e accadimenti solo suggeriti e accennati, oltre che filmati senza badare troppo all'eloquenza del disegno complessivo, in modo tale da rendere l'indagine psicologica sui personaggi sempre più segreta e intima, con lo spettatore chiamato a condividere tale rispettoso mistero, tra sguardi ravvicinati, zoomate, attimi epifanici. Un approccio stilistico che a lungo andare produce però un'inconsistenza un po' eterea, poco concreta quando c'è da tirare le somme sul piano estetico e altrettanto priva di mordente sul terreno della denuncia agli scheletri nell'armadio della storia peruviana, non approfondita al punto giusto. Scenografia fortemente simbolica: il lungo indugiare sulle ante delle finestre non del tutto aperte da parte di Fausta, ad esempio, è un'allegoria della paura di aprirsi al mondo esterno piuttosto evidente.