Di chi è la mia vita?
Whose Life Is It Anyway?
Durata
119
Formato
Regista
Lo scultore Ken Harrison (Richard Dreyfuss) è vittima di un incidente stradale. Sopravvive, ma le ferite che ha riportato lo hanno paralizzato dalla testa in giù. Dopo sei mesi in ospedale, l'uomo è ormai lucido e perfettamente consapevole della sua situazione, e quando il primario (John Cassavetes) lo informa che non ci sono speranze di miglioramento, decide di intraprendere una battaglia legale per ottenere le dimissioni, nonostante la sospensione delle cure lo porterebbe alla morte nel giro di pochi giorni.
John Badham mette in scena un testo teatrale di Brian Clark (autore anche della sceneggiatura) che va a toccare tasti importanti, controversi e difficili, soprattutto nell'America dei primi Ottanta: eutanasia, accanimento terapeutico, depressione e diritto di scelta in condizioni estreme. L'elemento portante di un film girato quasi esclusivamente in interni, con un protagonista che ha solo il volto e la voce a disposizione, è tutto nella scrittura. Sceneggiatura che ha il pregio di non indulgere troppo nel patetico e di costruire un protagonista dotato di fascino, brillante, ironico ma anche determinato a non accettare la sua condizione. Molto meno incisiva la regia, fiacca, statica e incapace di dare un valore aggiunto al copione di partenza. Troppo lungo per colpire ed emozionare davvero, è una classica occasione sprecata. Buona prova, in ogni caso, di Dreyfuss.
John Badham mette in scena un testo teatrale di Brian Clark (autore anche della sceneggiatura) che va a toccare tasti importanti, controversi e difficili, soprattutto nell'America dei primi Ottanta: eutanasia, accanimento terapeutico, depressione e diritto di scelta in condizioni estreme. L'elemento portante di un film girato quasi esclusivamente in interni, con un protagonista che ha solo il volto e la voce a disposizione, è tutto nella scrittura. Sceneggiatura che ha il pregio di non indulgere troppo nel patetico e di costruire un protagonista dotato di fascino, brillante, ironico ma anche determinato a non accettare la sua condizione. Molto meno incisiva la regia, fiacca, statica e incapace di dare un valore aggiunto al copione di partenza. Troppo lungo per colpire ed emozionare davvero, è una classica occasione sprecata. Buona prova, in ogni caso, di Dreyfuss.