Donne ai primi passi
Mignonnes
Durata
96
Formato
Regista
L'undicenne Amy (Fathia Youssouf) tenta di sfuggire a una realtà familiare oppressiva unendosi al disinibito gruppo delle "Mignonnes", in un percorso di scoperta della propria femminilità attraverso la danza.
Film d’esordio della regista parigina di origini senegalesi Maïmouna Doucouré, presentato al Sundance Film Festival, Donne ai primi passi è un lungometraggio che, se approcciato superficialmente, rischia di essere frainteso. Apparentemente sembra una storia classica di ricerca di visibilità e attenzione da parte di una ragazzina di 11 anni, ma sotto questa patina si nasconde uno spaccato di realtà ben più profondo e stratificato, anche se non sempre reso in maniera convincente. Il motore è il dramma familiare di Amy, la protagonista, che cerca di evadere dalla sofferenza materna provocata dall’assenza e dalla bigamia del padre, scontrandosi di fatto con una cultura opposta alla sua, rimanendone estremamente affascinata, catturata, fin quasi a diventarne schiava. Il desiderio di essere accettata dalle sue coetanee che si improvvisano ballerine sui social è troppo forte per non essere assecondato: lei è disposta a tutto, anche a eseguire ordini, a farsi umiliare, se necessario. Arrivando poi ad esagerare, perdendosi. Il dolore è sempre presente sotto una maschera di finta allegria e di sovresposizione sul web, il luogo principe in cui il gruppo di ragazzine carica video in cui ballano con pose sexy e provocatorie, atteggiamenti che stridono con i loro volti ancora acerbi e che gridano l’assenza dell’infanzia, troppo presto sostituita dal trucco e dall’impazienza d’essere più grandi. Una tematica attuale e delicata, in cui spicca la mancanza di figure adulte (ad eccezione delle donne di casa di Amy e di quelle istituzionali, come i professori o i custodi, comunque senza autorità) e in cui la regista prova a raccontare il tutto in maniera genuina, cercando di sfuggire alla retorica, non sempre riuscendoci. Il rapporto dei giovanissimi con i social, le risse che vengono riprese e postate sul web senza alcun intervento per sedarle, gli adulti tacciati di pedofilia per un braccio sfiorato, le differenze culturali, il disagio esistenziale, l’assenza di punti di riferimento: troppa carne al fuoco che, in una durata relativamente breve, rischia di confondere e non approfondire a dovere diversi punti toccati.
Film d’esordio della regista parigina di origini senegalesi Maïmouna Doucouré, presentato al Sundance Film Festival, Donne ai primi passi è un lungometraggio che, se approcciato superficialmente, rischia di essere frainteso. Apparentemente sembra una storia classica di ricerca di visibilità e attenzione da parte di una ragazzina di 11 anni, ma sotto questa patina si nasconde uno spaccato di realtà ben più profondo e stratificato, anche se non sempre reso in maniera convincente. Il motore è il dramma familiare di Amy, la protagonista, che cerca di evadere dalla sofferenza materna provocata dall’assenza e dalla bigamia del padre, scontrandosi di fatto con una cultura opposta alla sua, rimanendone estremamente affascinata, catturata, fin quasi a diventarne schiava. Il desiderio di essere accettata dalle sue coetanee che si improvvisano ballerine sui social è troppo forte per non essere assecondato: lei è disposta a tutto, anche a eseguire ordini, a farsi umiliare, se necessario. Arrivando poi ad esagerare, perdendosi. Il dolore è sempre presente sotto una maschera di finta allegria e di sovresposizione sul web, il luogo principe in cui il gruppo di ragazzine carica video in cui ballano con pose sexy e provocatorie, atteggiamenti che stridono con i loro volti ancora acerbi e che gridano l’assenza dell’infanzia, troppo presto sostituita dal trucco e dall’impazienza d’essere più grandi. Una tematica attuale e delicata, in cui spicca la mancanza di figure adulte (ad eccezione delle donne di casa di Amy e di quelle istituzionali, come i professori o i custodi, comunque senza autorità) e in cui la regista prova a raccontare il tutto in maniera genuina, cercando di sfuggire alla retorica, non sempre riuscendoci. Il rapporto dei giovanissimi con i social, le risse che vengono riprese e postate sul web senza alcun intervento per sedarle, gli adulti tacciati di pedofilia per un braccio sfiorato, le differenze culturali, il disagio esistenziale, l’assenza di punti di riferimento: troppa carne al fuoco che, in una durata relativamente breve, rischia di confondere e non approfondire a dovere diversi punti toccati.