Falò. Fuoco alpino
Höhenfeuer
Durata
119
Formato
Regista
Belli (Johanna Lier) è una giovane ragazza che vorrebbe diventare insegnante, ma è costretta a restare a lavorare bell’alpeggio di famiglia, dando lezioni solo al fratello sordo (Thomas Nock). La relazione tra i due diventa sempre più forte, fino a superare il punto di non ritorno.
Tra i migliori film svizzeri degli anni Ottanta, questa pellicola è forte di una splendida fotografia (di Pio Corradi) e di una regia elegante e meticolosa, che riesce a raccontare con grande sensibilità e senza cadute di stile anche argomenti delicati (come la disabilità in un ambiente poco preparato ad accoglierla) e scabrosi (l’incesto). Ogni gesto e ogni azione dei protagonisti, dall’apertura della posta alla costruzione di muri a secco, evocano un senso di ritualità, conferendo all’opera una dimensione quasi sacra e cerimoniale. La bellissima ambientazione lascia sì senza fiato, ma è anche un grande elemento di isolamento, in cui la vitalità adolescenziale non riesce a farsi strada secondo le modalità più abituali. Il nucleo familiare protagonista è una comunità chiusa, limitata dalla severità del padre, che punisce o accoglie a ritmo alternato. Oltre ai membri della famiglia, infatti, non ci sono attori in scena, e la sceneggiatura procede come una tragedia greca in salsa elvetica, mentre le Alpi sono mute testimoni degli eventi. Mai gratuito e sempre intenso, dall’inizio a un’inquadratura finale che fatica a svanire dalla memoria. Grande successo a Locarno, dove vinse sia il Pardo d’oro che il Premio della giuria ecumenica.
Tra i migliori film svizzeri degli anni Ottanta, questa pellicola è forte di una splendida fotografia (di Pio Corradi) e di una regia elegante e meticolosa, che riesce a raccontare con grande sensibilità e senza cadute di stile anche argomenti delicati (come la disabilità in un ambiente poco preparato ad accoglierla) e scabrosi (l’incesto). Ogni gesto e ogni azione dei protagonisti, dall’apertura della posta alla costruzione di muri a secco, evocano un senso di ritualità, conferendo all’opera una dimensione quasi sacra e cerimoniale. La bellissima ambientazione lascia sì senza fiato, ma è anche un grande elemento di isolamento, in cui la vitalità adolescenziale non riesce a farsi strada secondo le modalità più abituali. Il nucleo familiare protagonista è una comunità chiusa, limitata dalla severità del padre, che punisce o accoglie a ritmo alternato. Oltre ai membri della famiglia, infatti, non ci sono attori in scena, e la sceneggiatura procede come una tragedia greca in salsa elvetica, mentre le Alpi sono mute testimoni degli eventi. Mai gratuito e sempre intenso, dall’inizio a un’inquadratura finale che fatica a svanire dalla memoria. Grande successo a Locarno, dove vinse sia il Pardo d’oro che il Premio della giuria ecumenica.