Il cimitero del sole
TaiyÅ no hakaba
Durata
87
Formato
Regista
Nei quartieri meno nobili di Osaka, una città da ricostruire sotto il profilo sia urbanistico che umano, ognuno provvede a macchiarsi di ogni crimine e comportamento poco raccomandabile, rubando e ricorrendo di continuo ad azioni violente.
Non è un paese per giovani, il Giappone di Nagisa ÅŒshima, esattamente come in Racconto crudele della giovinezza, l'altro film realizzato dal regista nipponico nel 1960. Il livello è ancora una volta molto alto, con un estremismo ancor più radicale per quel che riguarda la costruzione dell'immagine: alle riprese più piane e statiche dell'altra opera, che pure possedevano una loro scabra potenza, si sostituiscono qui sequenze affannate e convulse, nelle quali l'uso della camera a mano è strumentale a restituire la ribollente e controversa vitalità degli strati più bassi della popolazione e delle loro deviate abitudini comportamentali. Il cimitero del sole è un film potente e disperato, con momenti eccezionali che sono autenticamente mefistofelici. La grandezza compositiva del cineasta ÅŒshima si ritrova in moltissime sequenze, che al soffocamento geometrico della composizione sanno abbinare decadenti simbolismi e funerei abbandoni dello sguardo, assecondati da una macchina da presa che non arretra di fronte a immagini forti e luttuose che si specchiano in un titolo di grande valore evocativo. Notevole la capacità plastica del regista di materializzare sensazioni astratte e sfuggenti accanto a quella dimensione più carnale che Sergio Arecco ha definito in maniera molto pertinente «elegia macabra dei bassifondi».
Non è un paese per giovani, il Giappone di Nagisa ÅŒshima, esattamente come in Racconto crudele della giovinezza, l'altro film realizzato dal regista nipponico nel 1960. Il livello è ancora una volta molto alto, con un estremismo ancor più radicale per quel che riguarda la costruzione dell'immagine: alle riprese più piane e statiche dell'altra opera, che pure possedevano una loro scabra potenza, si sostituiscono qui sequenze affannate e convulse, nelle quali l'uso della camera a mano è strumentale a restituire la ribollente e controversa vitalità degli strati più bassi della popolazione e delle loro deviate abitudini comportamentali. Il cimitero del sole è un film potente e disperato, con momenti eccezionali che sono autenticamente mefistofelici. La grandezza compositiva del cineasta ÅŒshima si ritrova in moltissime sequenze, che al soffocamento geometrico della composizione sanno abbinare decadenti simbolismi e funerei abbandoni dello sguardo, assecondati da una macchina da presa che non arretra di fronte a immagini forti e luttuose che si specchiano in un titolo di grande valore evocativo. Notevole la capacità plastica del regista di materializzare sensazioni astratte e sfuggenti accanto a quella dimensione più carnale che Sergio Arecco ha definito in maniera molto pertinente «elegia macabra dei bassifondi».