La forma della voce
Koe no katachi
Durata
130
Formato
Regista
L’arrivo della piccola Shoko Nishimya incrina la spensierata quotidianità di una classe elementare. La bambina, infatti, sorda fin dalla nascita, diviene presto vittima dello scherno dei compagni e in particolare del vivace Shoya Ishida, le cui vessazioni costringono la famiglia della giovane a trasferirla in un nuovo istituto. Accusato di bullismo e abbandonato dagli amici, Shoya cresce insieme al suo senso di colpa e, ormai liceale, medita con insistenza il suicidio. Un nuovo incontro con Shoko, tuttavia, costringerà entrambi a fare i conti con il proprio passato.
Adattamento dell’omonimo manga di Yoshitoki Oima, la pellicola porta in scena con grazia non comune il tema della disabilità, rifuggendo in larga parte il patetismo e restituendo un realistico spaccato della società giapponese contemporanea. Accomunati dalla medesima solitudine, i due protagonisti condividono difficoltà relazionali e comunicative solo in apparenza antitetiche, tradotte nella ricercata imperfezione dei quadri, tavole sbilanciate nella composizione e nei tagli audaci di un montaggio che alterna senza soluzione di continuità il primissimo piano al campo largo. Un character design stereotipato e le difficoltà di un finale che stempera eccessivamente la risoluzione del proprio climax restano le principali incertezze di un’opera che, pur concedendosi tempi distesi e votati all’indagine del sentimento, pecca nell’approfondimento della dimensione corale. Tali affanni non vanno comunque ad alterare il respiro di Shoya e Shoko, personaggi in cerca di redenzione e delicatamente immersi in una cosmogonia di dettagli sublimati nella metafora visiva delle croci affisse dallo sguardo del giovane sui volti di chi lo circonda e nella raffinatezza onirica del sogno sordo che scuote la ragazza.
Adattamento dell’omonimo manga di Yoshitoki Oima, la pellicola porta in scena con grazia non comune il tema della disabilità, rifuggendo in larga parte il patetismo e restituendo un realistico spaccato della società giapponese contemporanea. Accomunati dalla medesima solitudine, i due protagonisti condividono difficoltà relazionali e comunicative solo in apparenza antitetiche, tradotte nella ricercata imperfezione dei quadri, tavole sbilanciate nella composizione e nei tagli audaci di un montaggio che alterna senza soluzione di continuità il primissimo piano al campo largo. Un character design stereotipato e le difficoltà di un finale che stempera eccessivamente la risoluzione del proprio climax restano le principali incertezze di un’opera che, pur concedendosi tempi distesi e votati all’indagine del sentimento, pecca nell’approfondimento della dimensione corale. Tali affanni non vanno comunque ad alterare il respiro di Shoya e Shoko, personaggi in cerca di redenzione e delicatamente immersi in una cosmogonia di dettagli sublimati nella metafora visiva delle croci affisse dallo sguardo del giovane sui volti di chi lo circonda e nella raffinatezza onirica del sogno sordo che scuote la ragazza.