Rashōmon
Rash�mon
Premi Principali
Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia 1951
Oscar al miglior film straniero 1952
Durata
88
Formato
Regista
Il brigante Taj�maru (Toshir� Mifune) viene arrestato con l'accusa di avere assassinato un samurai (Masayuki Mori) dopo avere violentato sua moglie (Machiko Ky�). Il fatto scatena le congetture di due testimoni (Takashi Shimura, Minoru Chiaki) e di un ladruncolo (Kichijir� Ueda).
«Bugie, non hanno detto che bugie, tutti quanti». Akira Kurosawa adatta (con la collaborazione di Shinobu Hashimoto) due racconti dello scrittore Ryunosuke Akutagawa, Rash�mon e Nel bosco, realizzando un'opera che contribuirà a rivelare il suo genio e a lanciarlo nel panorama cinematografico internazionale. Magistralmente definito da una struttura a flashback (i testimoni evocano i tre indagati, che a loro volta esprimono il proprio punto di vista sulla vicenda), il film stigmatizza l'impossibilità di giungere a una verità definitiva, operando su due livelli: l'inadeguatezza morale di un'umanità condannata al caos («Gli uomini sono un vero mistero per i loro simili. Quanti mali, quanta miseria per tutti») e il paradosso della prospettiva filmica, con una messinscena che instilla il dubbio dell'inganno su un delitto tanto feroce quanto gratuito, operando minime variazioni nei movimenti della macchina da presa (ed evitando, ambiguamente e intelligentemente, riprese in soggettiva). Il risultato è uno splendido apologo sui limiti e le contraddizioni della coscienza, attraversato da linee geometriche essenziali che caratterizzano le immagini (tentando di mettere ordine nei convulsi drammi esistenziali) e da una sotterranea simbologia sessuale (il pugnale che cade a terra conficcandosi nel terreno, scoperta metafora di un desiderio destinato a esplodere prepotente). Formalmente e ideologicamente modernissimo, Rash�mon tocca vertici di pessimismo universale, limati però da un finale catartico che, come spesso accade in Kurosawa, riesce miracolosamente a restituire fiducia in un mondo ormai contaminato dall'ipocrisia e dall'opportunismo. Cast in stato di grazia e memorabile tratteggio del personaggio femminile, ambigua e disturbante figura in bilico tra innocenza e crudeltà. Accolto tiepidamente in patria, vinse il Leone d'oro alla Mostra di Venezia e un Oscar come miglior film straniero. Imprescindibile.
«Bugie, non hanno detto che bugie, tutti quanti». Akira Kurosawa adatta (con la collaborazione di Shinobu Hashimoto) due racconti dello scrittore Ryunosuke Akutagawa, Rash�mon e Nel bosco, realizzando un'opera che contribuirà a rivelare il suo genio e a lanciarlo nel panorama cinematografico internazionale. Magistralmente definito da una struttura a flashback (i testimoni evocano i tre indagati, che a loro volta esprimono il proprio punto di vista sulla vicenda), il film stigmatizza l'impossibilità di giungere a una verità definitiva, operando su due livelli: l'inadeguatezza morale di un'umanità condannata al caos («Gli uomini sono un vero mistero per i loro simili. Quanti mali, quanta miseria per tutti») e il paradosso della prospettiva filmica, con una messinscena che instilla il dubbio dell'inganno su un delitto tanto feroce quanto gratuito, operando minime variazioni nei movimenti della macchina da presa (ed evitando, ambiguamente e intelligentemente, riprese in soggettiva). Il risultato è uno splendido apologo sui limiti e le contraddizioni della coscienza, attraversato da linee geometriche essenziali che caratterizzano le immagini (tentando di mettere ordine nei convulsi drammi esistenziali) e da una sotterranea simbologia sessuale (il pugnale che cade a terra conficcandosi nel terreno, scoperta metafora di un desiderio destinato a esplodere prepotente). Formalmente e ideologicamente modernissimo, Rash�mon tocca vertici di pessimismo universale, limati però da un finale catartico che, come spesso accade in Kurosawa, riesce miracolosamente a restituire fiducia in un mondo ormai contaminato dall'ipocrisia e dall'opportunismo. Cast in stato di grazia e memorabile tratteggio del personaggio femminile, ambigua e disturbante figura in bilico tra innocenza e crudeltà. Accolto tiepidamente in patria, vinse il Leone d'oro alla Mostra di Venezia e un Oscar come miglior film straniero. Imprescindibile.