Guy and Madeline on a Park Bench
Guy and Madeline on a Park Bench
Durata
82
Formato
Regista
Il trombettista Guy (Jason Palmer) e la sua ragazza Madeline (Desiree Garcia) si sono lasciati dopo una relazione che è durata solo tre mesi. Tra una jam session e l’altra, Guy cerca qualcuno con cui condividere la sua musica; Madeline, dal canto suo, vuole lasciarsi Boston alle spalle e partire alla volta di New York. Le loro strade, però, sembrano destinate ad incrociarsi di nuovo.
Opera prima di un venticinquenne Damien Chazelle, futuro regista di Whiplash (2014) e La La Land (2016), Guy and Madeline on a Park Bench nasce come corto di fine corso ad Harvard e diventa, dopo anni di lavorazione, il lungometraggio che è valso al suo autore il Premio della Giuria al Torino Film Festival nel 2009. Laddove la forte impronta stilistica di Chazelle trova lo spazio per realizzarsi appieno, il film funziona, merito del bianco e nero, della camera a mano e dei palcoscenici improvvisati per le strade di Boston, che donano alla pellicola un certo fascino naive. Quando ciò non accade, però, viene da chiedersi se Chazelle non abbia indugiato troppo sulla forma, perdendo di vista il contenuto: l’iperbolica storia d’amore è caotica, troppo labile per reggere il peso di una colonna sonora tanto ingombrante e i protagonisti sono poco caratterizzati. A colmare il vuoto è il nostalgico virtuosismo jazz di Justin Hurwitz, storico collaboratore del Premio Oscar, al quale tutti gli scambi comunicativi vengono rimessi con estrema naturalezza. Messa in conto l’inesperienza degli attori e la povertà di dialogo, si può pensare che Chazelle abbia osato un po’ troppo per un regista agli esordi. Lezioso e ricercato nella tecnica, il film è uno sterile omaggio alla storia del cinema, al Godard di Bande à part e ai musical della Metro Goldwyn Mayer, esteticamente piacevole ma privo di piglio narrativo. Guy and Madeline on a Park Bench resta un interessante esercizio di stile, visivamente ben costruito ma ancora troppo acerbo per convincere pienamente.
Opera prima di un venticinquenne Damien Chazelle, futuro regista di Whiplash (2014) e La La Land (2016), Guy and Madeline on a Park Bench nasce come corto di fine corso ad Harvard e diventa, dopo anni di lavorazione, il lungometraggio che è valso al suo autore il Premio della Giuria al Torino Film Festival nel 2009. Laddove la forte impronta stilistica di Chazelle trova lo spazio per realizzarsi appieno, il film funziona, merito del bianco e nero, della camera a mano e dei palcoscenici improvvisati per le strade di Boston, che donano alla pellicola un certo fascino naive. Quando ciò non accade, però, viene da chiedersi se Chazelle non abbia indugiato troppo sulla forma, perdendo di vista il contenuto: l’iperbolica storia d’amore è caotica, troppo labile per reggere il peso di una colonna sonora tanto ingombrante e i protagonisti sono poco caratterizzati. A colmare il vuoto è il nostalgico virtuosismo jazz di Justin Hurwitz, storico collaboratore del Premio Oscar, al quale tutti gli scambi comunicativi vengono rimessi con estrema naturalezza. Messa in conto l’inesperienza degli attori e la povertà di dialogo, si può pensare che Chazelle abbia osato un po’ troppo per un regista agli esordi. Lezioso e ricercato nella tecnica, il film è uno sterile omaggio alla storia del cinema, al Godard di Bande à part e ai musical della Metro Goldwyn Mayer, esteticamente piacevole ma privo di piglio narrativo. Guy and Madeline on a Park Bench resta un interessante esercizio di stile, visivamente ben costruito ma ancora troppo acerbo per convincere pienamente.