Hereditary – Le radici del male

Hereditary

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

127

Formato

Regista

Quando la matriarca Ellen Graham muore, la famiglia di sua figlia Annie (Toni Collette) inizia a svelare segreti criptici e terrificanti sulla loro ascendenza. Più fatti scoprono, più dovranno tentare di sfuggire a un destino a cui sembra inevitabile soccombere, e il ménage familiare ne uscirà completamente stravolto, in un turbinio di caos e orrore, segreti ancestrali ed eredità sinistre e demoniache.

Primo lungometraggio del regista Ari Aster, Hereditary – Le radici del male è uno spaventoso horror domestico, che inscena una tragedia familiare con grande rigore e spiccata sensibilità formale e autoriale, sottilmente inquietante e sempre prossima a precipitare verso abissi infernali. Con dalla sua alcuni acclamati cortometraggi dedicati al tema dei rituali casalinghi più traumatici che si possano immaginare, come il muto Munchausen e il più corposo The Strange Thing About The Johnsons, Aster si concentra su una linea di sangue in cui l’eredità malefica lascia strascichi profondi e si rifà a tanto cinema di paura degli anni ’60 e ’70. Le due linee narrative che si affiancano, quella con gli attori in carne ed ossa e quella dedicata a certosine ricostruzioni in scala di ambienti e personaggi in miniatura, tradiscono la volontà di dare vita a un soggetto d’impatto, ma anche fortemente strumentale e pensato a tavolino, che col passare dei minuti smarrisce originalità e senso della sorpresa, facendosi troppo schematico nella programmatica ricerca dell’orrore. Notevolissima, tuttavia, la grande interpretazione di Toni Collette, giustamente acclamata dalla critica americana e novello incrocio tra la Janet Leigh di Psyco (1960) e la Shelley Duvall di Shining (1980). Più generosi, invece, gli entusiasmi sfrenati che il film ha generato oltreoceano, dato che siamo di fronte a uno scaltro mix, per quanto di indubbio talento, tra il cinema d’autore modaiolo di Yorgos Lanthimos e i classici del cinema horror come Rosemary’s Baby (1968), Suspense (1961) e ovviamente L’esorcista (1973) di Friedkin, rimasticati in maniera cerchiobottista con un occhio machiavellico al regno del soprannaturale e un altro alla tragedia greca (a detta del regista, però, l’ispirazione principale è il grande regista britannico Mike Leigh e i suoi film corali come Tutto o niente del 2002). Ottimo l’apporto sonoro del sassofonista Colin Stetson, che vanta collaborazioni di pregio con artisti come The National, Arcade Fire, Bon Iver, Tom Waits e The Chemical Brothers.
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