L'illusionista
L'illusionniste
Durata
80
Formato
Regista
Un anziano illusionista in declino incontra, in un pub sperduto nelle campagne scozzesi, una ragazzina ingenua che lo crede un vero mago e decide di seguirlo fino a Edimburgo. La vita in città però è dura, il pubblico è troppo esigente e per l'uomo sarà sempre più difficile non deludere la sua giovane amica.
Tratto da una sceneggiatura non realizzata di Jacques Tati, L'illusionista è una piccola grande opera di animazione (praticamente muta) che, grazie a un tocco visivo di rara delicatezza, dà vita a un protagonista memorabile: un'illusionista ormai incapace di stupire un pubblico troppo disincantato per credere alle sue piccole magie. Attraverso gli occhi ancora puri della ragazzina, sembra rivivere la meraviglia, ma è solo un ultimo fremito prima della disillusione finale che costringe la contemporaneità a un arido presente di raziocinio, senza la dolce consolazione della suspension of disbelief (la “sospensione dell'incredulità”). Il rapporto impossibile, filiale e amoroso a un tempo, tra l'anziano e la giovane è tratteggiato con sensibilità, con una vaga ma persistente reminiscenza dell'amore tra Calvero e la ballerina in Luci della ribalta (Charlie Chaplin, 1952) e il contrasto tra la beata ignoranza innocente della campagna scozzese e la consapevolezza priva di fascino della città si fa sempre più aspro. L'omaggio a Tati si rende ancora più evidente dalle fattezze del protagonista (che si chiama Tatischeff: vero nome dell'autore di Playtime del 1967) e la malinconia di cui la pellicola è profondamente permeata, nonostante i molti siparietti comici, lascia un retrogusto di amarezza e di rimpianto per la perdita dell'innocenza che non possono non ricondurre alle magistrali pellicole di Monsieur Hulot. Notevolissimo.
Tratto da una sceneggiatura non realizzata di Jacques Tati, L'illusionista è una piccola grande opera di animazione (praticamente muta) che, grazie a un tocco visivo di rara delicatezza, dà vita a un protagonista memorabile: un'illusionista ormai incapace di stupire un pubblico troppo disincantato per credere alle sue piccole magie. Attraverso gli occhi ancora puri della ragazzina, sembra rivivere la meraviglia, ma è solo un ultimo fremito prima della disillusione finale che costringe la contemporaneità a un arido presente di raziocinio, senza la dolce consolazione della suspension of disbelief (la “sospensione dell'incredulità”). Il rapporto impossibile, filiale e amoroso a un tempo, tra l'anziano e la giovane è tratteggiato con sensibilità, con una vaga ma persistente reminiscenza dell'amore tra Calvero e la ballerina in Luci della ribalta (Charlie Chaplin, 1952) e il contrasto tra la beata ignoranza innocente della campagna scozzese e la consapevolezza priva di fascino della città si fa sempre più aspro. L'omaggio a Tati si rende ancora più evidente dalle fattezze del protagonista (che si chiama Tatischeff: vero nome dell'autore di Playtime del 1967) e la malinconia di cui la pellicola è profondamente permeata, nonostante i molti siparietti comici, lascia un retrogusto di amarezza e di rimpianto per la perdita dell'innocenza che non possono non ricondurre alle magistrali pellicole di Monsieur Hulot. Notevolissimo.