La notte del 12
La nuit du 12
Durata
115
Formato
Regista
Si dice che ogni investigatore abbia un crimine che lo ossessiona. Per Yohan (Bastien Bouillon) è l'omicidio di Clara, una ragazza che è stata bruciata viva durante una notte come tante.
Ce lo dice fin dall’inizio una didascalia: il film a cui stiamo per assistere racconta una delle tante vicende di omicidi irrisolti presenti in Francia. Nonostante la dichiarazione d’intenti, La notte del 12 è un film capace di creare un’empatia fortissima con la vicenda, facendoci costantemente sperare che la nuova persona indagata o interrogata possa essere l’assassino, così da fare giustizia su un crimine efferato e inaccettabile. Dopo Only the Animals (2019), il regista tedesco naturalizzato francese Dominik Moll si conferma un bravo indagatore della psiche umana, dando vita a un lungometraggio cupo e ricco di interessanti simbolismi, a partire da quel velodromo che sembra una metafora del girare costantemente a vuoto della polizia attorno a quel caso. All’interno di una messinscena essenziale e minimale, stonano un po’ alcuni passaggi eccessivi e sopra le righe (ad esempio la sovrimpressione notturna tra il volto insonne del protagonista e quelli di altri personaggi), così come non manca qualche momento ridondante, ma nel complesso questo è un lungometraggio incisivo e persino sorprendente, dotato di un bellissimo finale che mostra un’insperata e luminosa speranza all’interno di una storia e di un personaggio che sembravano averli dimenticati. Presentato al Festival di Cannes.
Ce lo dice fin dall’inizio una didascalia: il film a cui stiamo per assistere racconta una delle tante vicende di omicidi irrisolti presenti in Francia. Nonostante la dichiarazione d’intenti, La notte del 12 è un film capace di creare un’empatia fortissima con la vicenda, facendoci costantemente sperare che la nuova persona indagata o interrogata possa essere l’assassino, così da fare giustizia su un crimine efferato e inaccettabile. Dopo Only the Animals (2019), il regista tedesco naturalizzato francese Dominik Moll si conferma un bravo indagatore della psiche umana, dando vita a un lungometraggio cupo e ricco di interessanti simbolismi, a partire da quel velodromo che sembra una metafora del girare costantemente a vuoto della polizia attorno a quel caso. All’interno di una messinscena essenziale e minimale, stonano un po’ alcuni passaggi eccessivi e sopra le righe (ad esempio la sovrimpressione notturna tra il volto insonne del protagonista e quelli di altri personaggi), così come non manca qualche momento ridondante, ma nel complesso questo è un lungometraggio incisivo e persino sorprendente, dotato di un bellissimo finale che mostra un’insperata e luminosa speranza all’interno di una storia e di un personaggio che sembravano averli dimenticati. Presentato al Festival di Cannes.