Enemy
Enemy
Durata
90
Formato
Regista
Un professore divorziato, Adam (Jake Gyllenhaal), si chiude in se stesso, estraniandosi da tutto e da tutti. Un giorno, però, guardando un film raccomandatogli caldamente, scopre che una delle comparse gli somiglia in maniera impressionante: una inquietante e paranoica rivelazione che lo farà precipitare in una spirale di incertezza e pericolo.
A partire da un modello letterario non di poco conto, vale a dire il premio Nobel José Saramago e il suo romanzo L'uomo duplicato (2002), il regista canadese Denis Villeneuve firma un film che gioca in maniera fin troppo eloquente e sfacciata col sempiterno tema del doppio, declinandolo in forme suggestive e oblique, anche se a tratti poco originali e non troppo interessanti, sotto il profilo tanto psicologico quanto strettamente cinematografico. La sensazione del disagio interiore vissuto dal protagonista è però ben rappresentata e Villeneuve riesce a trasmetterla allo spettatore, ma rimane la sensazione di un gioco di prestigio che avrebbe meritato un approccio più saldo e rigoroso, seppur il coinvolgimento sia alto sino alla fine. Ed è proprio sul finale, questo sì decisamente inatteso, che si possono sviluppare una serie di interpretazioni attorno a un film un po' irrisolto ma ricco di suggestioni, in cui i collegamenti tra la figura femminile e l'aracnide passano addirittura dalla psicoanalisi: la sensazione è infatti quella che il gioco messo in campo, anche se a tratti un po' superficiale, sia soprattutto un tentativo di mettere in campo la paura di sentirsi costretti nelle morse di una famiglia e di una paternità non voluta, tanto da voler scappare (fisicamente e mentalmente) da quel luogo in maniera così viscerale da crearsi un proprio altro, a cui affidarsi completamente. Strepitosa interpretazione di Jake Gyllenhaal in uno dei ruoli più potenti della sua carriera.
A partire da un modello letterario non di poco conto, vale a dire il premio Nobel José Saramago e il suo romanzo L'uomo duplicato (2002), il regista canadese Denis Villeneuve firma un film che gioca in maniera fin troppo eloquente e sfacciata col sempiterno tema del doppio, declinandolo in forme suggestive e oblique, anche se a tratti poco originali e non troppo interessanti, sotto il profilo tanto psicologico quanto strettamente cinematografico. La sensazione del disagio interiore vissuto dal protagonista è però ben rappresentata e Villeneuve riesce a trasmetterla allo spettatore, ma rimane la sensazione di un gioco di prestigio che avrebbe meritato un approccio più saldo e rigoroso, seppur il coinvolgimento sia alto sino alla fine. Ed è proprio sul finale, questo sì decisamente inatteso, che si possono sviluppare una serie di interpretazioni attorno a un film un po' irrisolto ma ricco di suggestioni, in cui i collegamenti tra la figura femminile e l'aracnide passano addirittura dalla psicoanalisi: la sensazione è infatti quella che il gioco messo in campo, anche se a tratti un po' superficiale, sia soprattutto un tentativo di mettere in campo la paura di sentirsi costretti nelle morse di una famiglia e di una paternità non voluta, tanto da voler scappare (fisicamente e mentalmente) da quel luogo in maniera così viscerale da crearsi un proprio altro, a cui affidarsi completamente. Strepitosa interpretazione di Jake Gyllenhaal in uno dei ruoli più potenti della sua carriera.