Le lacrime della tigre nera
Fa talai jone
Durata
110
Formato
Regista
Amici d’infanzia, Rumpoey (Stella Malucchi) e Dum (Chartchai Ngamsan) si ritrovano da adulti e si innamorano, ma il loro sentimento è messo a dura prova dalle differenze sociali: lei, di famiglia borghese, viene promessa contro la sua volontà a un ufficiale di polizia, mentre lui è un umile figlio di contadini, costretto a diventare un bandito noto con il nome di Tigre Nera.
Negli anni che segnano la rinascita del cinema thailandese, percorso da una new wave che si muove tra scelte di genere e sperimentazioni autoriali, lo sceneggiatore Wisit Sasanatieng esordisce dietro la macchina da presa con questo bizzarro instant cult che contamina il western (!) con il mélo, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes nel 2001 e distribuito persino in Italia. Con spirito nostalgico e al contempo dissacrante, Sasanatieng omaggia i prodotti popolari di Bangkok degli anni Cinquanta e Sessanta, già influenzati dal cinema occidentale (e non è un caso che la protagonista Stella Malucchi non sia thai, ma italo-colombiana). In un tripudio kitsch di colori accesi, sfondi fittizi, colonna sonora enfatica ed elementi pulp, ritroviamo così lo spaghetti-western, il musical e Douglas Sirk, mescolati con verve cinefila in una variopinta cartolina dal sapore postmoderno. Un film manierista, derivativo e volutamente artificioso sino allo sfinimento, eppure a suo modo apprezzabile e, a tratti, addirittura irresistibile.
Negli anni che segnano la rinascita del cinema thailandese, percorso da una new wave che si muove tra scelte di genere e sperimentazioni autoriali, lo sceneggiatore Wisit Sasanatieng esordisce dietro la macchina da presa con questo bizzarro instant cult che contamina il western (!) con il mélo, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes nel 2001 e distribuito persino in Italia. Con spirito nostalgico e al contempo dissacrante, Sasanatieng omaggia i prodotti popolari di Bangkok degli anni Cinquanta e Sessanta, già influenzati dal cinema occidentale (e non è un caso che la protagonista Stella Malucchi non sia thai, ma italo-colombiana). In un tripudio kitsch di colori accesi, sfondi fittizi, colonna sonora enfatica ed elementi pulp, ritroviamo così lo spaghetti-western, il musical e Douglas Sirk, mescolati con verve cinefila in una variopinta cartolina dal sapore postmoderno. Un film manierista, derivativo e volutamente artificioso sino allo sfinimento, eppure a suo modo apprezzabile e, a tratti, addirittura irresistibile.