Trieste. La quotidianità regolare e solitaria di Pietro (Pierre Richard) viene interrotta da un’ordinanza di sfratto dal suo vecchio appartamento. L’anziano non vuole andarsene e mette a punto una strategia per continuare a vivere segretamente dentro casa: un muro in fondo al lungo corridoio dell’appartamento, un vero e proprio nascondiglio verticale dietro cui sparire. Un giorno, però, una madre disperata arriva a stravolgere i suoi piani.

Otto anni dopo Oltre il guado, Lorenzo Bianchini torna dietro la macchina da presa per un’operazione con una produzione più “ricca”, ma in cui mantiene sempre uno sguardo minimalista e giocato tutto sull’essenzialità. «Questa storia non è soltanto un contenitore di ricordi personali: è il punto d'arrivo di un percorso iniziato con i miei film precedenti. Un percorso di sottrazione in cui il minimalismo narrativo e la rarefazione dei dialoghi sono portati all'estremo»: così il regista ha voluto descrivere L’angelo dei muri, una favola gotica con echi da thriller polanskiano che non lesina anche su un’interessante riflessione socioeconomica che può ricordare persino Parasite di Bong Joon-ho. Attraverso una serie di numerosi long take, il regista friulano gioca perennemente con lo sguardo dello spettatore, chiamato sempre in causa nel prendere la prospettiva dell’anziano Pietro, ben interpretato da Pierre Richard. Il protagonista osserva gli inquilini della sua abitazione non solo come un voyeur, ma come se fosse proprio uno spettatore che sta guardando un film che si sviluppa davanti ai suoi occhi. In questo lungometraggio dal sapore malinconico, in cui si mescolano ricordi e fantasie, realtà e immaginazione, è proprio il cinema a essere assoluto protagonista, fin dalla prima sequenza in cui le crepe delle pareti già vanno a rappresentare quelle dell’anima del personaggio principale. Molti passaggi narrativi sanno di già visto e la sceneggiatura fa un bel po’ di fatica a risultare scorrevole anche nella seconda parte, ma la pellicola ha la giusta ambizione e una messinscena potente e di non semplice fattura. Un film perfetto per capire come si possa generare tensione e coinvolgimento emotivo anche con pochissimi mezzi.
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