Letters from a Killer
Letters from a Killer
Durata
100
Formato
Regista
Condannato ingiustamente per omicidio, il detenuto Race Darnell (Patrick Swayze) intrattiene una corrispondenza con quattro donne. Quando un nuovo processo lo scagiona definitivamente, scopre che una di loro vuole ucciderlo: dovrà smascherare l’identità della sua persecutrice e sfuggire alla polizia, che lo crede responsabile dei delitti commessi dalla donna misteriosa.
David Carson, già regista del mediocre film della saga di Star Trek, Generazioni (1994), e gli sceneggiatori esordienti Nicholas Hicks-Beach e Shelley Miller partoriscono un deludente thriller al servizio del corpo scenico di Patrick Swayze, circondato da un gineceo di figure femminili (amanti epistolari, assassine, poliziotte, avvocatesse) come a voler ribaltare i tradizionali rapporti uomo/donna del cinema d’azione. La struttura, in compenso, riprende l’abusato schema del fuggitivo perseguitato, con qualche dose di splatter e l’inevitabile colpo di scena finale destabilizzante. Tuttavia, una regia piatta e uno sviluppo narrativo zeppo di inverosimiglianze rendono il film un’operazione mediocre e mai davvero coinvolgente. Non brilla neppure il monocorde Swayze, anni luce dal magnetismo del suo Bodhi in Point Break – Punto di rottura (1991) di Kathryn Bigelow. Paradossalmente, l’unica scena stuzzicante è quella in cui l’attore, già idolo di Dirty Dancing (1987) di Emile Ardolino si mostra impacciato sulla pista da ballo.
David Carson, già regista del mediocre film della saga di Star Trek, Generazioni (1994), e gli sceneggiatori esordienti Nicholas Hicks-Beach e Shelley Miller partoriscono un deludente thriller al servizio del corpo scenico di Patrick Swayze, circondato da un gineceo di figure femminili (amanti epistolari, assassine, poliziotte, avvocatesse) come a voler ribaltare i tradizionali rapporti uomo/donna del cinema d’azione. La struttura, in compenso, riprende l’abusato schema del fuggitivo perseguitato, con qualche dose di splatter e l’inevitabile colpo di scena finale destabilizzante. Tuttavia, una regia piatta e uno sviluppo narrativo zeppo di inverosimiglianze rendono il film un’operazione mediocre e mai davvero coinvolgente. Non brilla neppure il monocorde Swayze, anni luce dal magnetismo del suo Bodhi in Point Break – Punto di rottura (1991) di Kathryn Bigelow. Paradossalmente, l’unica scena stuzzicante è quella in cui l’attore, già idolo di Dirty Dancing (1987) di Emile Ardolino si mostra impacciato sulla pista da ballo.