Su una terrazza che si affaccia su l'Avana, cinque amici di vecchia data si ritrovano a distanza di anni per celebrare il ritorno di Amadeo (Néstor Jiménez), rimasto per sedici anni in esilio a Madrid. Nell'arco di una notte riaffioreranno alla mente speranze, tensioni, delusioni, amori e rimpianti passati.

Settimo lungometraggio del regista transalpino Laurent Cantet (Palma d'oro a Cannes nel 2008 per La classe), Ritorno a l'Avana è un raffinato esempio di cinema da camera (o forse da "terrazza", in questo caso) che, rispettando le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione, cerca di dipingere un quadro esistenziale che unisca pubblico (la mutevole condizione politica e culturale di Cuba) e privato (i ricordi delle vicende personali dei protagonisti). L'innegabile fascino della parola diventa però pregio e, allo stesso tempo, limite di una pellicola realizzata "fuori tempo massimo", la cui freschezza apparente vive in realtà di modelli radicati nel passato (il "grande freddo" nostalgico è già stato portato sullo schermo decine di volte). Artisti sognatori sconfitti dalla vita, in preda a disillusione e al ricordo dello spirito libero passato, vivono della luce riflessa di una dolorosa riflessione politica «sull'illusione di un mondo migliore, piegato dall'ideologia, dall'embargo degli intelletti e dall'ottusità di un Sistema» (Boris Sollazzo). Per la serie: «credevamo di cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi». Presentato alle Giornate degli autori della 71ª Mostra del cinema di Venezia.
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