Ma ma – Tutto andrà bene
Ma ma
Durata
111
Formato
Regista
Magdalena (Penélope Cruz) è un’insegnante disoccupata, madre di Dani (Teo Planell) che ha un cancro recidivo alla mammella. Nel suo difficile percorso perderà il marito egoista Raúl (Alex Brendemühl), ma incontrerà Arturo (Luis Tosar).
Melodramma strappalacrime, Ma ma -Tutto andrà bene punta svergognatamente solo alla commozione, mettendo al centro della narrazione un personaggio femminile inverosimile, incarnazione di infinite virtù, positivo e vitale anche davanti al susseguirsi di drammi esistenziali di portata devastante. La Cruz domina, tra pianti, scene madri e sventolare di capelli al sole, circondata da un drappello di maschi adoranti e incapace di alcuna aderenza con il reale: pare uscita dalle pagine del deamicisiano Cuore nel perpetrarsi eterno del suo sacrificio in nome dell’amore. Persino la confezione è raffazzonata, anche se va detto che regia e fotografia non avrebbero potuto comunque salvare un prodotto affogato nella melassa dalla prima all’ultima inquadratura. La Cruz si dimostra coraggiosa a farsi vedere rasata, ma è l’unico sforzo (se così si può definire) tangibile in una pellicola lagnosa e inconsistente, buona per una lezione pomeridiana di catechismo e nulla più. Zuccherosa persino la colonna sonora di Alberto Iglesias nominata ai Goya (insieme alla Cruz come miglior attrice e alla nomination per miglior trucco e acconciature). In tono con il dilagare retorico l'orribile sottotitolo italiano.
Melodramma strappalacrime, Ma ma -Tutto andrà bene punta svergognatamente solo alla commozione, mettendo al centro della narrazione un personaggio femminile inverosimile, incarnazione di infinite virtù, positivo e vitale anche davanti al susseguirsi di drammi esistenziali di portata devastante. La Cruz domina, tra pianti, scene madri e sventolare di capelli al sole, circondata da un drappello di maschi adoranti e incapace di alcuna aderenza con il reale: pare uscita dalle pagine del deamicisiano Cuore nel perpetrarsi eterno del suo sacrificio in nome dell’amore. Persino la confezione è raffazzonata, anche se va detto che regia e fotografia non avrebbero potuto comunque salvare un prodotto affogato nella melassa dalla prima all’ultima inquadratura. La Cruz si dimostra coraggiosa a farsi vedere rasata, ma è l’unico sforzo (se così si può definire) tangibile in una pellicola lagnosa e inconsistente, buona per una lezione pomeridiana di catechismo e nulla più. Zuccherosa persino la colonna sonora di Alberto Iglesias nominata ai Goya (insieme alla Cruz come miglior attrice e alla nomination per miglior trucco e acconciature). In tono con il dilagare retorico l'orribile sottotitolo italiano.