Maraviglioso Boccaccio
Durata
120
Formato
Regista
Firenze, 1348. Nell'anno della peste dieci giovani – sette ragazze e tre ragazzi – si rifugiano in un casolare di campagna. Per ingannare il tempo, ogni giorno ognuno racconterà al resto del gruppo una storia.
Film decisamente minore per i fratelli Paolo (1931) e Vittorio (1929) Taviani, reduci dall'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2012 per il notevole Cesare non deve morire, che rileggono il capolavoro di Boccaccio attraverso cinque novelle (quella di Calandrino, di Federico degli Alberighi, della Badessa, di Carisendi e Catalina e di Ghismunda e Guiscardo). Il risultato è tragicamente debole e raffazzonato: ai giovani narratoi toccano in sorte momenti infelici e movimenti patetici, agli interpreti delle novelle una cornice patinata, precaria e irrisolta. I Taviani non sono in grado di manovrare con abilità la forza combinatoria dello straordinario testo di partenza, né di sviluppare tracce interessanti o quantomeno moderne rispetto alla paranoia – e alla noia in sé – derivate dalla pestilenza e dall'esilio forzato. I rapporti tra i novellatori e le novelle sono superficiali e sciatti, incapaci di riformulare un discorso che tocchi la contemporaneità o di restituire, per chi si accontenta, la ricostruzione culturale e filologica della matrice letteraria. Attori in stato di disgrazia: Scamarcio, Vagni, Trinca, Puccini, Riondino, Crescentini e soprattutto Kasia Smutniak – chiamati a interpretare i protagonisti delle novelle – sono tutti fuori parte. Si salvano solo Cortellesi, Rossi Stuart e Arena. Non mancano due o tre momenti stilisticamente interessanti (qualche primo piano, i lumi di candela che illuminano le esitazioni del duca Tancredi di Lello Arena), ma tutto il resto è plastico, irrilevante, da dimenticare.
Film decisamente minore per i fratelli Paolo (1931) e Vittorio (1929) Taviani, reduci dall'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2012 per il notevole Cesare non deve morire, che rileggono il capolavoro di Boccaccio attraverso cinque novelle (quella di Calandrino, di Federico degli Alberighi, della Badessa, di Carisendi e Catalina e di Ghismunda e Guiscardo). Il risultato è tragicamente debole e raffazzonato: ai giovani narratoi toccano in sorte momenti infelici e movimenti patetici, agli interpreti delle novelle una cornice patinata, precaria e irrisolta. I Taviani non sono in grado di manovrare con abilità la forza combinatoria dello straordinario testo di partenza, né di sviluppare tracce interessanti o quantomeno moderne rispetto alla paranoia – e alla noia in sé – derivate dalla pestilenza e dall'esilio forzato. I rapporti tra i novellatori e le novelle sono superficiali e sciatti, incapaci di riformulare un discorso che tocchi la contemporaneità o di restituire, per chi si accontenta, la ricostruzione culturale e filologica della matrice letteraria. Attori in stato di disgrazia: Scamarcio, Vagni, Trinca, Puccini, Riondino, Crescentini e soprattutto Kasia Smutniak – chiamati a interpretare i protagonisti delle novelle – sono tutti fuori parte. Si salvano solo Cortellesi, Rossi Stuart e Arena. Non mancano due o tre momenti stilisticamente interessanti (qualche primo piano, i lumi di candela che illuminano le esitazioni del duca Tancredi di Lello Arena), ma tutto il resto è plastico, irrilevante, da dimenticare.