Nanuk l'esquimese
Nanook of the North
Durata
79
Formato
Regista
La vita e la dura lotta per la sopravvivenza del cacciatore esquimese Nanuk (Allakariallak) e della sua famiglia, appartenenti alla tribù Itivimuit. Un racconto che si snoda dall'estate all'inverno: dal viaggio in kayak per vendere pelli di volpe e orso alla caccia a trichechi e foce; dalle furiose tormente di neve alla costruzione di un igloo.
Primo film di Robert J. Flaherty e opera universalmente riconosciuta come capostipite del documentario in forma di lungometraggio. Sorta di ode al coraggio e all'intraprendenza umana dinnanzi a una natura ostile ma al contempo parte integrante dell'esistenza, il film è un mirabile esempio di poesia applicata al cinema, capace di catturare l'essenza della vita di tutti i giorni dei suoi protagonisti, valorizzando dettagli, abitudini quotidiane e piccoli gesti significativi. La realtà accade davanti alla macchina da presa con naturalezza e semplicità, benché alla base ci sia una consapevole e solida idea di messa in scena. Proprio per la sua componente finzionale, il film subì diverse critiche che oggi appaiono pretestuose: si tratta, al contrario, di uno dei più riusciti risultati di fusione tra documentarismo e fiction, sottolineando l'assoluta aleatorietà di etichette di genere che l'opera di Flaherty travalica. Il regista coglie sul fatto la vita e al contempo la narrativizza con intelligenza, raccontando una storia di profonda e sincera umanità, osservando e descrivendo visivamente attimi di quotidianità. Il film nasce dalle ceneri di materiali filmati da Flaherty nel corso delle sue escursioni al confine tra Stati Uniti e Canada, andati distrutti, e dal soggiorno di oltre un anno del regista presso la comunità esquimese. Il protagonista Nanuk morì di stenti due anni dopo il termine delle riprese.
Primo film di Robert J. Flaherty e opera universalmente riconosciuta come capostipite del documentario in forma di lungometraggio. Sorta di ode al coraggio e all'intraprendenza umana dinnanzi a una natura ostile ma al contempo parte integrante dell'esistenza, il film è un mirabile esempio di poesia applicata al cinema, capace di catturare l'essenza della vita di tutti i giorni dei suoi protagonisti, valorizzando dettagli, abitudini quotidiane e piccoli gesti significativi. La realtà accade davanti alla macchina da presa con naturalezza e semplicità, benché alla base ci sia una consapevole e solida idea di messa in scena. Proprio per la sua componente finzionale, il film subì diverse critiche che oggi appaiono pretestuose: si tratta, al contrario, di uno dei più riusciti risultati di fusione tra documentarismo e fiction, sottolineando l'assoluta aleatorietà di etichette di genere che l'opera di Flaherty travalica. Il regista coglie sul fatto la vita e al contempo la narrativizza con intelligenza, raccontando una storia di profonda e sincera umanità, osservando e descrivendo visivamente attimi di quotidianità. Il film nasce dalle ceneri di materiali filmati da Flaherty nel corso delle sue escursioni al confine tra Stati Uniti e Canada, andati distrutti, e dal soggiorno di oltre un anno del regista presso la comunità esquimese. Il protagonista Nanuk morì di stenti due anni dopo il termine delle riprese.