The Pills – Sempre meglio che lavorare
Durata
90
Formato
Regista
I trentenni di oggi si arrabattano come possono alla ricerca di un lavoro stabile che somiglia sempre più a un miraggio, ma loro no: Luca (Luca Vecchi), Luigi (Luigi Di Capua) e Matteo (Matteo Corradini) hanno quasi trent’anni ma nessuna voglia di prendersi sul serio, difendono a spada tratta la “battaglia” dell’immobilismo post-adolescenziale costi quel che costi e non ci pensano nemmeno ad affrontare la vita vera, con annessa sveglia alle 7:30. Preferiscono fumare, bere caffè, sparare idiozie intorno al tavolino del loro appartamento alla periferia di Roma sud. La tentazione del lavoro, però, busserà subdolamente alla loro porta...
I The Pills, trio di youtubers romani che hanno conquistato un vasto numero di spettatori e visualizzazione sul web con le loro pillole in bianco e nero all’insegna di sketch irresistibili e humour acido, approdano sul grande schermo sotto l’egida del produttore Pietro Valsecchi, ormai consolidato Re Mida del botteghino italiano dopo i ripetuti incassi stellari di Zalone, che sembra quasi vedere nei The Pills un’altra faccia della medaglia rispetto ai temi del coevo Quo vado? (2016) con protagonista il comico pugliese. I tre muovono infatti dal ribaltamento surreale del bisogno di un’occupazione lavorativa, non dal bisogno fisiologico del posto fisso: preferiscono farsi mantenere dai genitori, coltivare velleità e vacuità con toni faceti e farseschi, che danno luogo a un’ironia spesso stralunata, obliqua e surreale. Il passaggio al cinema, coi suoi tempi e le sue esigenze perfino spietate, strangola però la creatività del trio: la frammentarietà del linguaggio di Youtube viene infatti trasposta senza operare variazioni di sorta per adattarsi al nuovo medium di riferimento, e il risultano è sfasato, altalenante, spesso desolante per via della meccanicità della scrittura e per lo scarso amalgama tra le diverse situazioni, che faticano a coesistere in un disegno unico e omogeneo. Se i bagliori di cattiveria e corrosività sul web funzionavano benissimo, il cinema si rivela invece uno scoglio troppo ruvido per i The Pills, che vi inciampano e franano rovinosamente, lasciandosi andare all’approssimazione, alla trovata isolata, all’accumulo e alla fastidiosa ridondanza di temi e di toni, per altro insopportabilmente romanocentrici (non manca niente, dal Kebab di Arco di Travertino all’occupazione al liceo Mamiani), che presi a piccole dosi risultano gradevoli ma faticano a non risultare stucchevoli e pedanti per un’ora e venti. Uso smodato della parodia, del tic, del riuso, dell’ammiccamento, in un calderone impazzito ma sterile, non galvanizzato dall’acerba, impersonale e modaiola regia di Luca Vecchi, che rimescola Tarantino e Silvio Muccino, Fight Club (1999) e Il cacciatore (1978). Riuscita, però, la maschera del papà di Matteo, che in un cortocircuito generazionale usa Instagram, gira serie per il web, cita Come Vera Nabokov de I Cani («Non è avere gli esami / non è avere vent’anni / credimi è qualcosa in più»). Spassoso cameo di Giancarlo Esposito e uso giocoso dell’alternanza tra b/n e colore, citando la webserie di partenza.
I The Pills, trio di youtubers romani che hanno conquistato un vasto numero di spettatori e visualizzazione sul web con le loro pillole in bianco e nero all’insegna di sketch irresistibili e humour acido, approdano sul grande schermo sotto l’egida del produttore Pietro Valsecchi, ormai consolidato Re Mida del botteghino italiano dopo i ripetuti incassi stellari di Zalone, che sembra quasi vedere nei The Pills un’altra faccia della medaglia rispetto ai temi del coevo Quo vado? (2016) con protagonista il comico pugliese. I tre muovono infatti dal ribaltamento surreale del bisogno di un’occupazione lavorativa, non dal bisogno fisiologico del posto fisso: preferiscono farsi mantenere dai genitori, coltivare velleità e vacuità con toni faceti e farseschi, che danno luogo a un’ironia spesso stralunata, obliqua e surreale. Il passaggio al cinema, coi suoi tempi e le sue esigenze perfino spietate, strangola però la creatività del trio: la frammentarietà del linguaggio di Youtube viene infatti trasposta senza operare variazioni di sorta per adattarsi al nuovo medium di riferimento, e il risultano è sfasato, altalenante, spesso desolante per via della meccanicità della scrittura e per lo scarso amalgama tra le diverse situazioni, che faticano a coesistere in un disegno unico e omogeneo. Se i bagliori di cattiveria e corrosività sul web funzionavano benissimo, il cinema si rivela invece uno scoglio troppo ruvido per i The Pills, che vi inciampano e franano rovinosamente, lasciandosi andare all’approssimazione, alla trovata isolata, all’accumulo e alla fastidiosa ridondanza di temi e di toni, per altro insopportabilmente romanocentrici (non manca niente, dal Kebab di Arco di Travertino all’occupazione al liceo Mamiani), che presi a piccole dosi risultano gradevoli ma faticano a non risultare stucchevoli e pedanti per un’ora e venti. Uso smodato della parodia, del tic, del riuso, dell’ammiccamento, in un calderone impazzito ma sterile, non galvanizzato dall’acerba, impersonale e modaiola regia di Luca Vecchi, che rimescola Tarantino e Silvio Muccino, Fight Club (1999) e Il cacciatore (1978). Riuscita, però, la maschera del papà di Matteo, che in un cortocircuito generazionale usa Instagram, gira serie per il web, cita Come Vera Nabokov de I Cani («Non è avere gli esami / non è avere vent’anni / credimi è qualcosa in più»). Spassoso cameo di Giancarlo Esposito e uso giocoso dell’alternanza tra b/n e colore, citando la webserie di partenza.