Bassa padana, anni Cinquanta. La locandiera Miranda (Serena Grandi), che ancora attende il ritorno del marito dalla guerra, si diverte a sollazzarsi qua e là con gli avventori della sua taverna.

A suo modo iconico – e non così disprezzabile come gran parte della produzione di Tinto Brass post-La chiave (1983) – il film rilegge La locandiera di Goldoni in chiave scollacciata e decisamente (auto)ironica. Vorrebbe forse essere un documento licenzioso e furbetto sulle nevrosi erotiche dell'Italia al risveglio dal secondo conflitto mondiale, ma tutto naviga in un mare di riconosciuta mediocrità, rappresentativa delle ossessioni del suo autore e financo dell'amore per le belle donne. In questo caso, al centro filosofico della questione, viene posto il corpo sensuale della protagonista Miranda, una Serena Grandi all'apice del fulgore e della bellezza. L'attrice trova il ruolo della sua carriera, ma un film e un regista non all'altezza delle sue… forme.
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