Un posto nel mondo
Un lugar en el mundo
Durata
120
Formato
Regista
Ernesto (Gastón Batyi e Mariano Ortega) torna nel villaggio dove è cresciuto e inizia a ricordare la sua vita lì: i suoi genitori (Cecilia Roth e Federico Luppi) sono intellettuali di sinistra che cercano di migliorare la vita della popolazione. La presenza di un geologo spagnolo (José Sacristán) disvela un piano per cacciare i contadini dalle loro terre.
Film realista che racconta l’Argentina rurale immediatamente post dittatura, impoverita e senza gli strumenti per riscattarsi da sola. Il ritorno di Ernesto al villaggio è un pretesto: da lì si dipana un lungo flashback, che assume ben presto i contorni di una riflessione profonda sull’identità, sul senso di comunità e sull’eredità ideologica. La storia familiare diventa corale nel narrare la battaglia tra giustizia sociale e cinismo capitalista. Non a caso il geologo in un passaggio si definisce un mercenario (esattamente come anni prima fece l’avvocato in Tiempo de revancha), sballottato tra ciò che considera giusto e ciò che gli permette di guadagnarsi da vivere. Luppi e Roth interpretano invece due personaggi idealisti e disposti a sacrificarsi per il bene della collettività: vissuti gli orrori della dittatura militare, non sono più disposti ad abbassare la testa. Il primo in particolare rifiuta di abbandonare la sua casa, nonostante sia conscio della lotta impari e destinata alla sconfitta. Intenso e sentito, con l’unico difetto di una regia e una sceneggiatura che tendono a calcare un po’ la mano su certi elementi, eliminando qualsiasi sorpresa narrativa. Non è difficile chiudere un occhio, però, davanti alla forza della denuncia e alla sincerità dei sentimenti in campo. Enorme successo in Argentina, ma anche all’estero: primo premio al festival di San Sebastián e candidatura (poi esclusa per questioni di produzione) all’Oscar per il miglior film straniero.
Film realista che racconta l’Argentina rurale immediatamente post dittatura, impoverita e senza gli strumenti per riscattarsi da sola. Il ritorno di Ernesto al villaggio è un pretesto: da lì si dipana un lungo flashback, che assume ben presto i contorni di una riflessione profonda sull’identità, sul senso di comunità e sull’eredità ideologica. La storia familiare diventa corale nel narrare la battaglia tra giustizia sociale e cinismo capitalista. Non a caso il geologo in un passaggio si definisce un mercenario (esattamente come anni prima fece l’avvocato in Tiempo de revancha), sballottato tra ciò che considera giusto e ciò che gli permette di guadagnarsi da vivere. Luppi e Roth interpretano invece due personaggi idealisti e disposti a sacrificarsi per il bene della collettività: vissuti gli orrori della dittatura militare, non sono più disposti ad abbassare la testa. Il primo in particolare rifiuta di abbandonare la sua casa, nonostante sia conscio della lotta impari e destinata alla sconfitta. Intenso e sentito, con l’unico difetto di una regia e una sceneggiatura che tendono a calcare un po’ la mano su certi elementi, eliminando qualsiasi sorpresa narrativa. Non è difficile chiudere un occhio, però, davanti alla forza della denuncia e alla sincerità dei sentimenti in campo. Enorme successo in Argentina, ma anche all’estero: primo premio al festival di San Sebastián e candidatura (poi esclusa per questioni di produzione) all’Oscar per il miglior film straniero.