753 a.C. I fratelli pastori Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) devono contare l'uno sull'altro per sopravvivere in un mondo ostile. Dalle loro gesta e da sanguinose battaglie, nascerà la città di Roma, uno dei più grandi imperi della storia.

Dopo i buoni esiti di Veloce come il vento (2016), Matteo Rovere punta su una sfida ancor più ambiziosa, tanto nel soggetto, quanto nella forma adottata. Parlato completamente in proto-latino, il film sembra guardare per diverse ragioni ai lungometraggi di Mel Gibson (Apocalypto, in primis, e non solo per le scelte linguistiche), ma anche a The New World – Il nuovo mondo (2005) di Terrence Malick, Valhalla Rising (2009) di Nicolas Winding Refn o Revenant – Redivivo (2015) di Alejandro Gonzalez Iñárritu. Nomi indubbiamente suggestivi e tendenzialmente lontani dai modelli tipici del cinema italiano, che fanno capire innanzitutto il coraggio di Rovere e il suo desiderio di misurarsi con una materia tanto complessa. È una sfida che si può dire in buona parte riuscita, un po’ per l’originalità del prodotto all’interno del panorama italiano, ma soprattutto per la sua grande forza visiva: il lavoro del direttore della fotografia Daniele Ciprì, basato sul suggestivo uso della luce naturale, affascina infatti fin dalla prima, spettacolare sequenza, in cui viene mostrata l’esondazione del Tevere. I limiti stanno in un andamento ridondante e in una narrazione che, in qualche passaggio, non riesce a supportare adeguatamente i tanti spunti proposti, da quelli religiosi a quelli legati al mito fondativo che viene raccontato. I modelli di riferimento hollywoodiani forniscono ampio respiro all'operazione, anche se, al tempo stesso, diventano a volte un ingombrante elemento di confronto. Ma quello che conta è lo spirito dell'opera, un tentativo in gran parte riuscito di realizzare un'avventura dai tratti arcaici e primordiali, votata a rispecchiare l'essenza brutale di un'epoca oscura. Notevole la padronanza cinematografica di Rovere, capace di gestire al meglio l'apparato visivo e sonoro del film. I limiti emergono quando la messa in scena cede all'eccesso (della violenza, in primis) o alla ridondanza della forma (la battaglia in cui abbondano i ralenti, i droni nel finale). Ma la qualità è evidente nelle scelte più radicali, nei silenzi, nel rapporto tra i corpi dei personaggi e l’ambiente che li circonda. Un film di fango, lacrime e sangue, di ferina brutalità, che sembra non voler incontare a tutti i costi i gusti del grande pubblico. Carnale e intensa prova dei due protagonisti Alessio Lapice e Alessandro Borghi, capaci di rendere in maniera incisiva i tormenti e le pulsioni dei due protagonisti. Da segnalare, infine, che il soggetto e la sceneggiatura sono stati scritti dal regista insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri, gli stessi con cui aveva firmato il già citato Veloce come il vento.
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