Londra, 1912. Moglie, madre e operaia in una lavanderia dove le donne sono spesso vittime di soprusi, Maud Watts (Carey Mulligan) aderisce al Women’s Social and Political Union (che persegue il voto alle donne e la parità di diritti tra sessi), nonostante l’opposizione del marito (Ben Whishaw) e le minacce dell’ispettore Steed (Brendan Gleeson).

C’è voluto un secolo per portare sullo schermo una delle più importanti pagine nella storia dell’emancipazione femminile. Sarah Gavron racconta la fase più radicale e violenta del movimento suffragista, lasciando sullo sfondo i personaggi reali (la nota leader Emmeline Pankhurst fa un'apparizione fulminea, interpretata da Meryl Streep in un cameo che è il momento migliore ma anche più scontato del film) e scegliendo come punto di vista la presa di coscienza politica di un'eroina fittizia (la brava Mulligan). Nonostante il buon cast, ne esce un santino edificante contraddistinto dal respiro mediocre e dalla scarsa originalità di una fiction per la televisione. Allo script di Abi Morgan, a tratti coinvolgente ma zeppo di retorica, si accompagna la regia goffa e incerta della Gavron, con macchina da presa perennemente instabile e una lunga sequela di banalità stilistiche e narrative. Così, Suffragette è un prodotto dal valore cinematografico quasi nullo, da vedere solo per approfondire un periodo storico di cui parlano poco persino i libri di scuola. La Pankhurst e le sue compagne di lotta, però, avrebbero meritato qualcosa di più.
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