In un piccolo villaggio dell'Hunsrück, in Germania, durante la Seconda guerra mondiale, due amiche, Toni (Toni Simon) e Marga (Hannelore Elsner) rimaste a casa in attesa del ritorno dei mariti dal fronte, trovano un'ingente somma di denaro nascosta in soffitta. Decidono quindi di partire per Vienna e godersi l'insperata fortuna in alberghi, vestiti e uomini. Ma non tutto va secondo i piani.

Aspramente criticato in patria e accusato di descrivere il nazismo con la leggerezza della commedia, Il viaggio a Vienna è in realtà un perfetto e denigratorio ritratto del cosiddetto fronte interno tedesco: uno squarcio sul nazismo quotidiano, quello apparentemente lontano da tutti gli orrori della Germania del Reich, ma che ne incarna i caratteri più banali e quindi più veri. Ne risulta così uno sguardo straniante e allo stesso tempo agghiacciante, proprio grazie alla sua estrema banalità e scontatezza, che riesce a esprimere tutta l'assurda illogicità implicita nel concetto stesso di nazionalsocialismo e di dittatura in generale. Le due amiche sono quasi delle aliene in un mondo per cui questa illogicità è divenuta normale, parte inestricabile del mondo stesso, come se la guerra non fosse che un evento collaterale che non può appartenerle, come dimostra la straordinaria inquadratura finale. Non c'è nessuno scrupolo nell'utilizzare i soldi pagati da un concittadino ebreo per un permesso falso di espatrio, per l'estemporanea realizzazione di un sogno di lusso a lungo covato nella piccola e provinciale cittadina dove abitano le due protagoniste: micro-cosmo d'indagine per eccellenza, come lo sarà d'altra parte in Heimat (1984), dove la Storia stessa passa in controluce tra la straniante normalità della vita di paese. Girato e impostato come se fosse un film dell'epoca della guerra, sia nella recitazione che nelle inquadrature lunghe ricche di piani medi e larghi, così come nella fotografia, tenue e pastosa: una mimesi stilistica che dona alla pellicola un senso di straniamento ancora più vivido e forte. Alla sceneggiatura, collabora con Reitz anche il regista Alexander Kluge, altro nome di punta del movimento Junger Deutscher Film.
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