Riunione di famiglia
En mand kommer hjem
Durata
100
Formato
Regista
Una piccola cittadina danese si prepara a festeggiare i suoi primi 750 anni di vita. Per l'occasione il celebre cantante d'opera Karl Kristian Schmidt (Thomas Bo Larsen), nato e cresciuto lì, torna a casa. Il giovane cuoco Sebastian (Oliver Møller Knauer) scopre che Karl è il suo padre biologico e vuole conoscerlo. A intercedere per lui ci penserà la madre (Karen-Lise Mynster), dando il via a una serie di equivoci e situazioni imbarazzanti.
Segnato dall'inatteso e clamoroso successo di Festen (1998), Thomas Vinterberg torna a raccontare una storia per certi versi similare, lasciandosi alle spalle i fallimenti dei suoi due film americani: Le forze del destino (2003) e Dear Wendy (2004). Ritratto di famiglia è una variazione comica sui temi della pellicola capostipite del Dogma 95, ma al contempo da quel modello si discosta (pur conservandone a tratti l'impianto stilistico) e se ne fa beffe. Vinterberg, quindi, dà vita ad una commedia profondamente autoironica e quasi una presa di coscienza di ambizioni autoriali rimaste inespresse e destinate a essere incompiute. Ma l'umorismo che permea il film è sterile, quando non greve, e sul tutto aleggia un senso di mediocrità compiaciuta, incapace di slanci e di andare oltre a una serie di gag semplicistiche e grossolane. Il titolo italiano esplicita ulteriormente il debito di Vinterberg verso il suo più grande successo, ma di comico questo film ha ben poco, gravato da una quantità snervante di personaggi e situazioni macchiettistiche, oltre che da una messa in scena superficiale e svogliata.
Segnato dall'inatteso e clamoroso successo di Festen (1998), Thomas Vinterberg torna a raccontare una storia per certi versi similare, lasciandosi alle spalle i fallimenti dei suoi due film americani: Le forze del destino (2003) e Dear Wendy (2004). Ritratto di famiglia è una variazione comica sui temi della pellicola capostipite del Dogma 95, ma al contempo da quel modello si discosta (pur conservandone a tratti l'impianto stilistico) e se ne fa beffe. Vinterberg, quindi, dà vita ad una commedia profondamente autoironica e quasi una presa di coscienza di ambizioni autoriali rimaste inespresse e destinate a essere incompiute. Ma l'umorismo che permea il film è sterile, quando non greve, e sul tutto aleggia un senso di mediocrità compiaciuta, incapace di slanci e di andare oltre a una serie di gag semplicistiche e grossolane. Il titolo italiano esplicita ulteriormente il debito di Vinterberg verso il suo più grande successo, ma di comico questo film ha ben poco, gravato da una quantità snervante di personaggi e situazioni macchiettistiche, oltre che da una messa in scena superficiale e svogliata.