Rompicapo a New York
Casse-tête chinois
Durata
117
Formato
Regista
Dopo essersi separato dalla moglie, Xavier (Roman Duris) decide di seguirla a New York per stare più vicino ai propri figli. Qui trova casa a Chinatown e inizia una nuova vita tra problemi burocratici, lavorativi e sentimentali.
Fedele all’obiettivo di mostrare i cambiamenti personali e relazionali causati dal tempo, Rompicapo a New York segna un mutamento nella trilogia di Cédric Klapisch pur mantenendone i tratti distintivi che l’hanno resa un fenomeno globale. Grazie alla narrazione in prima persona di Xavier e al montaggio ipercinetico capace di far apparire ogni città come la meta turistica più entusiasmante del mondo, lo spettatore riconosce di ritrovarsi all’interno di quell’universo che ha già visto e (probabilmente) apprezzato ne L’appartamento spagnolo (2002) e Bambole russe (2005). Non rimane allora che portare avanti le vicende del nostro protagonista, adesso quarantenne separato, alle prese con la lotta per la custodia dei figli e con la scrittura del suo nuovo romanzo. Proprio quest’ultimo diventa uno strumento – metacinematografico - per ragionare sulla sua vita presente e quella passata, sulle persone che sono rimaste, quelle che se ne sono andate e quelle che, inaspettatamente, sono tornate. Immerso in una Chinatown simbolo della multiculturalità, l'operazione si configura quindi come definitiva autoanalisi del percorso del protagonista, dei personaggi che ne hanno fatto parte e della trilogia stessa. Delizioso e divertente, vacuo e semplicistico, insomma, una chiusura il linea con le prospettive mostrate nei capitoli precedenti.
Fedele all’obiettivo di mostrare i cambiamenti personali e relazionali causati dal tempo, Rompicapo a New York segna un mutamento nella trilogia di Cédric Klapisch pur mantenendone i tratti distintivi che l’hanno resa un fenomeno globale. Grazie alla narrazione in prima persona di Xavier e al montaggio ipercinetico capace di far apparire ogni città come la meta turistica più entusiasmante del mondo, lo spettatore riconosce di ritrovarsi all’interno di quell’universo che ha già visto e (probabilmente) apprezzato ne L’appartamento spagnolo (2002) e Bambole russe (2005). Non rimane allora che portare avanti le vicende del nostro protagonista, adesso quarantenne separato, alle prese con la lotta per la custodia dei figli e con la scrittura del suo nuovo romanzo. Proprio quest’ultimo diventa uno strumento – metacinematografico - per ragionare sulla sua vita presente e quella passata, sulle persone che sono rimaste, quelle che se ne sono andate e quelle che, inaspettatamente, sono tornate. Immerso in una Chinatown simbolo della multiculturalità, l'operazione si configura quindi come definitiva autoanalisi del percorso del protagonista, dei personaggi che ne hanno fatto parte e della trilogia stessa. Delizioso e divertente, vacuo e semplicistico, insomma, una chiusura il linea con le prospettive mostrate nei capitoli precedenti.