Minnesota, 1967. Il professore di fisica Larry Gopnik (Michael Stuhlbarg) deve fronteggiare una moglie (Sari Lennick) che chiede il divorzio per poter intraprendere una relazione con un amico di famiglia (Fred Melamed), due figli adolescenti disastrosi e nevrastenici, un fratello disoccupato, le avances di una vicina di casa e le minacce di uno studente d'origine coreana. Ma lui è un “uomo serio” e, anche grazie alle sue radici ebraiche, riuscirà (forse) a superare ogni difficoltà.

Una delle vette assolute dei fratelli Coen che, ispirandosi assai liberamente ai passi del Libro di Giobbe, riescono a tratteggiare impietosamente (e in maniera universale) quella commedia tragica che è la vita di ciascun individuo, dominata dal caos e dal caso, due forze tanto imprevedibili quanto annichilenti. Un'opera dalla forza selvaggia ed evocativa, forte delle sue intuizioni brillanti, grottesche e sagacemente difformi (il racconto in yiddish sul dybbuk, in apertura, ne è esemplificativa rappresentazione), ambizioso e struggente quadro di un mondo irrimediabilmente destinato a dissolversi, privato di qualsiasi speranza di redenzione o salvezza e in cui le azioni, i desideri, le passioni e le frustrazioni umane si rivelano per quello che sono: nulla dinnanzi a un destino di morte e disperazione. Vani sono dunque il ricorso alla religione, il richiamo a un'identità comunitaria o la fiducia riposta nella razionalità: i rabbini cui Larry si rivolge non hanno risposte né adeguati strumenti di decodifica dinnanzi a una realtà complessa e contraddittoria; i riti, le convenzioni e i rapporti sociali si mostrano sterili palliativi a una profonda solitudine; la ricerca di un senso dinnanzi a una concatenazione di eventi terribili e apparentemente sconclusionati è foriera di una angoscia esistenziale profonda e lancinante, alimentata dall'impossibilità di trovare pace e una spiegazione logica al beffardo decorso del destino. L'unica soluzione pare dunque abbandonarsi alla confusione e all'irrazionalità del mondo, esemplarmente declinata dalla musica rock e vagamente lisergica dei Jefferson Airplane. Film disperato e sorprendente, mirabile nel gestire con impeccabile equilibrio le istanze più drammatiche con tocchi di divertimento surreali e mai gratuiti. Eccezionale prova del cast, composto prevalentemente da attori teatrali e televisivi, tra cui spiccano le due iconiche maschere di Michael Stuhlbarg e Richard Kind. Due nomination agli Oscar: miglior film e miglior sceneggiatura originale.
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