A Spell to Ward Off the Darkness
A Spell to Ward Off the Darkness
Durata
98
Formato
Regista
Tre fasi nella vita del polistrumentista afroamericano Robert Aiki Aubrey Lowe: la sua partecipazione nella vita quotidiana di una comune neo-hippy che vive senza tecnologia in Estonia, il suo vagare solitario senza meta tra le bellezze della natura e la sua vita da musicista nel ruolo di chitarrista ritmico e secondo cantante in una band black metal.
Ben Rivers e Ben Russell hanno realizzato un'opera che esplora le potenzialità allegoriche e riflessive del sottogenere del documentario denominato “cinema diretto” (ovvero il documentario in cui non c'è interazione tra regista, o chi per lui, e personaggio reale) con una struttura tripartita (le tre sezioni del film sono separate esplicitamente da inquadrature nere contenenti un triangolo) in cui ognuna delle tre fasi della vita di Lowe viene trattata con uno stile diverso. Quanto di ciò che è mostrato sia in effetti parte della vita del protagonista non ci è dato saperlo: tuttavia il lungometraggio rimane suggestivo nella sua lettura anarchica e spirituale dell'atto del guardare come rappresentazione del rapporto tra l'individuo e il Cinema, che forse è “l'incantesimo che può mandar via l'oscurità” citato nel titolo. In A Spell to Ward Off the Darkness viene evitato il dialogo come spiegazione delle immagini perché è presente la tendenza a lasciare che le (stesse) immagini fluiscano lentamente e tranquillamente verso l'inquadratura finale, nella quale i due registi annullano l'intero percorso del protagonista a favore di un alienante crescendo visivo liberatorio. I tre spezzoni sono diversi per regia e toni: il primo (il meno interessante) è rilassato, il secondo ipnotico nella sua lentezza e pacifico nei colori e il terzo caotico, primordiale, disperato. A dir poco affascinante.
Ben Rivers e Ben Russell hanno realizzato un'opera che esplora le potenzialità allegoriche e riflessive del sottogenere del documentario denominato “cinema diretto” (ovvero il documentario in cui non c'è interazione tra regista, o chi per lui, e personaggio reale) con una struttura tripartita (le tre sezioni del film sono separate esplicitamente da inquadrature nere contenenti un triangolo) in cui ognuna delle tre fasi della vita di Lowe viene trattata con uno stile diverso. Quanto di ciò che è mostrato sia in effetti parte della vita del protagonista non ci è dato saperlo: tuttavia il lungometraggio rimane suggestivo nella sua lettura anarchica e spirituale dell'atto del guardare come rappresentazione del rapporto tra l'individuo e il Cinema, che forse è “l'incantesimo che può mandar via l'oscurità” citato nel titolo. In A Spell to Ward Off the Darkness viene evitato il dialogo come spiegazione delle immagini perché è presente la tendenza a lasciare che le (stesse) immagini fluiscano lentamente e tranquillamente verso l'inquadratura finale, nella quale i due registi annullano l'intero percorso del protagonista a favore di un alienante crescendo visivo liberatorio. I tre spezzoni sono diversi per regia e toni: il primo (il meno interessante) è rilassato, il secondo ipnotico nella sua lentezza e pacifico nei colori e il terzo caotico, primordiale, disperato. A dir poco affascinante.