Film diviso in due parti. Ne La morte di Sigfrido (Die Nibelungen: Siegfried), l'eroico Sigfrido (Paul Richter) sfida il drago per conquistare il cuore della bella Crimilde (Margarete Schön), ma viene tradito dal sovrano Gunther (Theodor Loos) e ucciso dal perfido Hagen Tronje (Hans Adalbert Schlettow); ne La vendetta di Crimilde (Die Nibelungen: Kriemhilds Rache), Crimilde sposa re Attila (Rudolf Klein-Rogge) e scatena una tremenda battaglia tra unni e burgundi, vendicando così la morte dell'amato Sigfrido.



Opera maestosa e fluviale dedicata al popolo tedesco (come indica la didascalia iniziale), scritta da Fritz Lang con la moglie Thea von Harbou e ispirata alla mitologia nordica (riferimento principale, Nibelungenlied, poema epico risalente al XIII secolo, riletto alla luce del wagneriano Der Ring des Nibelungen). Testimonianza fondamentale, insieme a Metropolis (1927), del gigantismo tipico del regista austriaco, il film riesce mirabilmente a riflettere tutte le possibilità della macchina cinema: le geometrie che dinamizzano la struttura dell'immagine si sdoppiano a veicolare maestosi quadri pittorici (prevalenti nella prima parte), atti a restituire la cristallina purezza della stirpe germanica, contrapposti alle simmetrie brulicanti de La vendetta di Crimilde, dominate dalla sgradevolezza di fisionomie al limite del bestiale. La simbolica ieraticità della nascita, il convulso parossismo della fine. Al centro di tutto, come spesso succede nella filmografia langhiana, è la figura femminile, espressionisticamente sdoppiata: a livello narrativo, tramite la contrapposizione tra la vendicativa Brunilde e la saggia Crimilde, e psicanaliticamente, con la metamorfosi di quest'ultima da donna luminosa e innamorata a simbolo di imperturbabile ferocia. Il tutto veicolato da contrasti tra bianco e nero, chiari e scuri (inondati da una fiabesca luce dorata) che rendono magistralmente la sottile linea tra sacralità e ossessione. Capolavoro imprescindibile, omaggiato da moltissimi autori e messo in discussione da certa critica a causa del favore del governo nazista: polemiche sterili (più volte affrontate da Lang nel corso della carriera), che nulla tolgono alla potenza dirompente di un'opera entrata di diritto nella storia del cinema. Effetti speciali clamorosi per l'epoca (il design del drago, curato da Karl Vollbrecht), mirabili lampi visionari (il profetico sogno animato di Crimilde) e una tecnica ineccepibile (straordinaria la fotografia di Carl Hoffman e Günther Rittau). La versione estesa, ottenuta dalla fondazione Friedrich Wilhelm Murnau dopo un accurato restauro, dura 287 minuti.
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