Il sessantottino Riccardo "Svitol" (Flavio Bucci) torna a Milano dopo cinque anni trascorsi in America Latina. Troverà un Paese cambiato e in crisi ideologica, con gli ex compagni imborghesiti e la crisi di una generazione, e deciderà di instaurare una sorta di complicità con un commissario di polizia (Biagio Pelligra) per ottenere una qualche forma di sollievo o di liberazione. 

Esordio al lungometraggio per Marco Tullio Giordana, impegnato a tratteggiare il senso di fallimento di una generazione. Citazionista quanto basta, autoironico e drammatico, il film fa propria una vaghezza stilistica che conduce lo spettatore in un viaggio attraverso una città di droga e terrorismo: mediante la soggettiva di "Svitol", assistiamo a uno spaccato storico del nostro Paese, fedele e didascalico, con le sue canzonette ironiche, gli slogan, le ideologie che sanno di morte. Disturbante il senso di inadeguatezza e di frustrazione che permea una Milano fantasma, ma il tutto si riduce a uno scherzo ironico, non privo di sentimentalismi e di ridondanze. In ogni caso, un embrione di futuri fasti autoriali. Vincitore del Pardo d'oro al Festival di Locarno.

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