News
Far East Film Festival 24 – Il racconto della nona e ultima giornata: trionfa il coreano "Miracle: Letters to the President"
Tempo di bilanci a Udine nella serata di chiusura della ventiquattresima edizione del Far East Film Festival. In una selezione dove è stato confermato in modo inequivocabile lo stato di forma del cinema giapponese, con qualche guizzo proveniente dalle Filippine, è stata però la Cina ad aggiudicarsi più premi grazie soprattutto alla sorprendente commedia action Too Cool To Kill, esordio di Wenxiong Xing. Il 2022 ha anche certificato la crisi nera di idee e di libertà d'espressione per il cinema di Hong Kong e l'inarrestabile fortuna di pubblico della proposta coreana che, pur non convincendo fino in fondo, è stata capace di trionfare, contro ogni (nostro) pronostico, con Miracle: Letters to the President di Jang-hoon Lee e di aggiudicarsi con Kingmaker di Sung-hyun Byun il MYmovies Award. Ma ecco, di seguito, tutti i premi!  

Audience Award - media
1° - Miracle: Letters to the President di LEE Jang-hoon (South Korea) - 4,48
2° - Return to Dust di LI Ruijun (China) - 4,44
3° - Too Cool to Kill di XING Wenxiong (China) - 4,42

Black Dragon Audience Award - media
Return to Dust di LI Ruijun (China) - 4,43

MYmovies Award
Kingmaker di BYUN Sung-hyun (South Korea)

White Mulberry Award for first time director
Too Cool to Kill di XING Wenxiong (China)

Best Screenplay Award
Love Nonetheless di JOJO Hideo (Japan)


La nona giornata si è aperta con un vero capolavoro, tra i tanti riproposti dal Far East di quest'anno, ovvero la pietra miliare dei film wuxia (in versione restaurata) The Swordsman of All Swordsmen (La mano vendicatrice continua ad uccidere), pellicola taiwanese del 1968 di Joseph Kuo. Chiuso il programma al Visionario, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine si sono susseguiti alcuni tra i film più interessanti in concorso che vi presentiamo uno ad uno. 

NICE VIEW

Dopo il grande successo di Dying to Survive, presentato al FEFF 2019, Wen Muyue porta a Udine il suo secondo lungometraggio, Nice View, che racconta il “China Dream” ottimista promosso dalla propaganda ufficiale sotto le vesti della tragedia familiare. Il film è ambientato a Shenzhen negli anni immediatamente successivi al congresso del PCC del 2012 nel quale Xi Jinping fu eletto Segretario Generale del partito e celebra di fatto la direzione data al Paese dal nuovo leader, attraverso la storia di due fratelli. Jing Hao è un giovane intraprendente che dopo l’abbandono del padre e la morte della madre si trasferisce in città assieme alla sorella Jing Tong, una bambina con una grave malattia congenita che può essere curata soltanto con una costosa operazione chirurgica. Le premesse sono chiarissime in un'operazione fortemente retorica (assolutamente insopportabile sin dall'incipit l'utilizzo della colonna sonora), dove il realismo nella costruzione della storia e le eccellenti interpretazioni dei giovani attori protagonisti sono gli unici elementi in grado di salvare il film.


THE FIRST GIRL I LOVED

Curiosa la scelta di presentare questo lungometraggio subito prima il ben più solido One Day, You Will Reach the Sea che, analogamente, tratta dell'amore tra due giovani ragazze. Quando alla cineasta Wing Lee (Hedwig Tam) viene chiesto di essere la damigella d’onore al matrimonio della vecchia compagna di classe Sylvia Lee (Renci Yeung), l’occasione la spinge a ricordare la loro storia d’amore ai tempi del liceo e a cercare di chiarirne le questioni irrisolte. Un viaggio nel tempo e nei ricordi affidato ai registi esordienti Candy Ng e Yeung Chiu-hoi, il racconto della storia d’amore tra le due ragazze assume i tratti di uno splendido piccolo dramma nostalgico. Il ritorno ai giorni della scuola si accompagna a riferimenti culturali dei primi anni Duemila e la vicenda è presentata in sognanti toni pastello che non possono che disturbare gli occhi di chi è abituato a ben altra fotografia. Un prodotto difficile da valutare per l'onestà degli intenti e la bassa qualità realizzativa che ne fanno un esordio rivedibile ma non condannabile. 

ONE DAY, YOU WILL REACH THE SEA

Nei primi due atti sembrava poter essere il miglior film del festival e anche qualcosa in più, invece One Day, You Will Reach the Sea si è man mano arenato nel volgersi alla conclusione. Tratta da un romanzo di Ayase Maru, la storia inizia tre anni dopo la sparizione di Sumire (Hamabe Minami), una donna socievole ma enigmatica, il giorno dello tsunami, mentre era in viaggio sulla costa di Tohoku. Il terremoto e la tragedia del 2011 al centro di un film molto profondo sull'elaborazione del lutto, diretto da Nakagawa Ryutaro che firma anche scritto la sceneggiatura in una produzione del team dietro a Drive My Car. Una riflessione che passa per gli oggetti, capaci di riportare in vita ricordi e quasi i cari scomparsi. Immagini potenti e curatissime a livello fotografico, mediate anche dal ricorso all'audiovisivo diegetico di registrazioni testimoniali e private. Una pellicola lenta, silenziosa che unisce il rispetto per chi è scomparso al tentativo di trovare un corrispettivo cinematografico all'elaborazione di un lutto (che ad un certo addirittura si duplica). Gli inserti animati posti in apertura e in chiusura incuriosiscono, ma se Ryutaro arriva a tu per tu con il portiere è in ultima analisi incapace di concludere a rete. Troppe le esitazioni e i tentennamenti che creano diversi problemi a una pellicola che comunque fa ben sperare per il futuro del regista giunto già al decimo lungometraggio.   


TOO COOL TO KILL

Già con Leonor Will Never Die e Legendary in Action! avevamo assistito, con risultati opposti, al festival di film che riflette sull'arte e la magia del fare cinema. L'esordiente Xing Wenxiong offre un'alternativa parodistica a questi titoli con l'irresistibile (sin dal titolo internazionale) Too Cool To Kill, autentica rivelazione del festival, capace di conquistare sia pubblico - che ha applaudito a tratti anche a film in corso! - che giuria. Il regista Mi Le e la sorella, la diva Milan, hanno ventiquattr'ore per scovare il famoso sicario Karl, che nessuno ha mai visto ma che pare essere ammiratore dell'attrice, per consegnarlo al boss Hawei. Ma invece dello spietato killer i due gli presentano l'ambiziosa comparsa Wei Changgdong, convinto a impersonare Karl con il pretesto di girare un film. Il film procede di gag in gag tra equivoci sempre più esilaranti e omaggi straordinari alla storia del cinema (da Sergio Leone e John Woo per arrivare a Tarantino e Singin' in the Rain). La prova di Wei Xiang è indescrivibile: siamo pienamente d'accordo coi Manetti e Vanja Kaludercic nel definirla alla pari con le più grandi prove comiche di sempre. Per un esordiente, Xing ha un controllo straordinario e un senso del ritmo impeccabile; inoltre il suo film è spesso creativo, soprattutto nell'ormai trita rottura della quarta parete, e riflette con forza e intelligenza sul cinema come artificio (l'intero mondo del film è contenuto all'interno di Lying Town, ultrartificiale metaset cinematografico). Senza dubbio il miglior film cinese visto al FEFF in questa edizione: speriamo in una miracolosa distribuzione in sala, se la merita tutta. 

CONFESSION

Remake del grandissimo successo spagnolo Contrattempo di Oriol Paulo (2016, in Italia avevamo portato avanti un'operazione del tutto analoga con Il testimone invisibile di Stefano Mordini), Confession è il secondo lungometraggio di di Yoon Jong-seok dopo il thriller d’azione del 2009 Marine Boy. Yoo Min-ho è un giovane imprenditore che sembra condurre una vita perfetta, almeno finché la polizia lo trova chiuso in una stanza di hotel con a fianco il cadavere della sua ex amante. Le "confessioni" di una lunga notte, con numerosi flashback, avvengono a dialogo l'avvocatessa difensore che cerca di mettere ordine ad un racconto sconesso e lacunoso. Yoon Jong-seok è riuscito nella difficile impresa di rendere credibile un film incentrato sulla trama e quindi molto telefonato per chi, soprattutto in Europa, aveva già ben noto il canovaccio. La creazione della tensione attraverso regia e missaggio sonoro creano un thriller convincentissimo per idee realizzative ed atmosfere. Una menzione speciale agli attori, ben più credibili della controparte italiana, con So Ji-sub abilissimo nell’interpretare il ruolo di protagonista così come la diva del K-pop Nana (della band After School): è però il ruolo dell’avvocatessa, interpretata da Kim Yun-jin, che resterà impressa nella memoria degli spettatori.  

L'ultimo appuntamento su longtake sarà domani con le nostre classifiche personali: da Udine per ora è tutto (in trepidante attesa della prossima edizione)!

A cura di Marco Lovisato e Andrea Valmori 
Maximal Interjector
Browser non supportato.