Henry De Tamble (Eric Bana) è in grado di viaggiare nel tempo ma, non riuscendo a controllare questa capacità, rischia di compromettere la sua relazione con Clare (Rachel McAdams), conosciuta quando era solo una bambina, e dalla quale ha avuto una figlia che riesce a governare il potere ereditato dal padre.

Tratto dal romanzo La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger, il film è un susseguirsi di cliché sentimentali, banali aforismi sul tempo e snodi narrativi forzati. La melassa romantica abbonda e tanto Bana – alle prese con un personaggio stilizzato e poco più che commiserevole – quanto la McAdams – nel ruolo visto e rivisto dell’innamorata insofferente ma fedele, in perenne attesa del suo uomo – contribuiscono a una fredda messa in scena nella quale la loro alchimia, perno attorno al quale dovrebbe ruotare l’intera operazione, funziona fino a un certo punto. La capacità di viaggiare nel tempo, dono e maledizione del protagonista, non è sufficiente a giustificare alcune derive involontariamente comiche (il fatto che dopo ogni viaggio il personaggio perda i vestiti e venga scambiato per un esibizionista) e l’espediente, seppur originale, non regge il peso di una storia dai toni melodrammatici e poco coinvolgenti.
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