Bruno Bonomo (Silvio Orlando) è uno scalcagnato produttore di b-movie, con titoli del tenore di Cataratte e Mocassini assassini. Una giovane regista, Teresa (Jasmine Trinca), gli propone un film che appare in tutto e per tutto ispirato all'esperienza biografica e imprenditoriale di Silvio Berlusconi. Nonostante qualche scetticismo iniziale, Bonomo accetta di produrlo.

Scritto con Francesco Piccolo e Federica Pontremoli, Il caimano è il film di Moretti che più ha spaccato l'opinione pubblica italiana e fatto discutere, sia per l'uscita in sala molto ravvicinata alle elezioni politiche del 2006, sia per il modo, beffardo e spietato, in cui dipinge la figura di Silvio Berlusconi. Un'opera multistrato, con più cornici e ancor più finestre, densa di suggestioni, codici allegorici, travestimenti e simboli. Il nuovo Moretti affronta la realtà e la recente storia d'Italia restituendola come in uno specchio deformato, con le vicende private e lavorative di Bonomo a fare sia da filo conduttore che da incarnazioni del Caimano del titolo, in modo da restituire i diversi lati del "berlusconismo". Inoltrandosi nella palude, in gran parte impervia, della raffigurazione del personaggio politico più ingombrante dell'ultimo ventennio italiano, Moretti non si risparmia, e si lascia andare a un esubero forse indigesto di elementi giustapposti, che non sempre sortiscono l'effetto sperato e di rado appaiono ben amalgamati. Più che un film su Berlusconi è un affresco satirico che vorrebbe catturare l'anima multiforme e luciferina del berlusconismo, riuscendoci però solo in parte, ma non rinunciando a raccontare in forma più tradizionale le vicende di uomini di cinema che s'arrabattano come sempre, con i loro limiti e i loro meriti. Qualche sonora caduta di stile (il matrimonio maoista dell'inizio, la corsa in macchina con la colonna sonora di Damien Rice) ma anche un finale da capogiro, entrato di diritto nella storia del cinema italiano contemporaneo. Nel film Berlusconi, come nella realtà di qualche anno successiva, viene condannato a 7 anni. E a impersonarlo, nell'epilogo livido e funereo in cui la folla attacca il Palazzo di Giustizia dopo la sentenza, è lo stesso Moretti, in un atto di macroscopica voracità autoriale ma con un colpo di coda finale a dir poco geniale.
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