Don Giulio (Nanni Moretti), dopo dieci anni su un'isola lontana, torna a Roma, ma le cose sono cambiate e gli equilibri della comunità appaiono radicalmente mutati, tanto nella famiglia del sacerdote quanto nel suo gruppo di amici, ognuno dei quali appare vessato da un problema diverso e allo sbando per una ragione o per l'altra.

Uno dei film più laici e distesi di Moretti, in cui la disperazione e il senso di inadeguatezza di una generazione affiorano, passo dopo passo, quasi timidamente e senza i modi edulcorati dei suoi lavori precedenti. L'abituale senso di crisi che si respira nel cinema dell'autore è visto stavolta attraverso la lente di un uomo di fede decisamente sui generis, che non nasconde posture e atteggiamenti tipici del Moretti attore e regista. Nel film ogni possibile eccesso è incanalato nella giusta direzione: emerge così uno spaccato delicato ma aspro sulle umane miserie collettive, dinanzi alle quali la consolazione dell'esercizio religioso si conferma strumento inappropriato. Moretti però non giudica, semmai problematizza, con la giusta distanza e un sobrio rigore che si evince anche nelle scene più iconiche (e ironiche). Meritato Orso d'argento a Berlino.
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