L'infanzia di un capo

The Childhood of a Leader

Durata

115

Formato

Regista

Un ragazzino americano, Prescott (Tom Sweet) vive nella Francia degli anni 10 e suo padre (Liam Cunningham) è un diplomatico che presta servizio presso il governo degli Stati Uniti, agendo da protagonista nella messa a punto del Trattato di Versailles. Il giovane respira a pieni polmoni lo spirito dell’epoca, che però lo pervade nel modo peggiore: Prescott maturerà infatti una sensibilità paranoide e narcisistica, estrema e dispotica, accompagnata da una personalità famelica e da un ego gigantesco.



L’attore Brady Corbet, già promettente e carismatico interprete (tra gli altri, per Haneke, Von Trier e Assayas), esordisce alla regia con una cruda e mefistofelica parabola biografica, che si sofferma sull’infanzia di un giovane e immaginario dittatore facendone la chiave di volta per scoperchiare una fase cruciale della storia del Novecento (uno squarcio che prestò il fianco alla nascita di molti totalitarismi). Quello di Corbet, com’è facile intuire, è un film scomodo e ruvido, dai tratti altisonanti e ambiziosi, che mette mano a una materia a dir poco incandescente con personalità e coraggio. Il risultato è un prodotto crudele e spiazzante, insolito e piuttosto distante da coordinate prevedibili e rassicuranti, sotto il profilo tematico, narrativo, emotivo. Attraverso l’uso di elementi dissonanti e di glaciali forzature, Corbet pare omaggiare proprio alcuni dei registi con cui ha lavorato (Haneke su tutti) costruendo un esordio maturo ma oltranzista. Un pugno nello stomaco che però denota un’etica e un’estetica a volte troppo manipolatorie e supponenti, forti di un’arroganza però sicuramente funzionale all’impalcatura generale. Alternando incursioni nel gelo di un’istituzione familiare e affondi altrettanto profondi e impietosi nella storia europea, Corbet firma un esordio raffinato e perverso ma anche troppo compassato e stilizzato, pur nella potenza tenebrosa e calibrata delle sue tantissime stoccate. Tra horror e film d’interni, tra fissità apparentemente obbligata e tendenza nemmeno troppo velata al piano-sequenza, Corbet prova a dare fondo alle soluzioni formali e ai registri espressivi, si avvale delle splendide musiche di Scott Walker ma non riesce a mettere adeguatamente a frutto i tanti elementi intavolati, sotto il profilo non solo cinematografico ma anche storico e politico. Titolo vagamente sartriano e Bresson, Pialat, Olmi, Dreyer e Kubrick tra le fonti d’ispirazione dichiarate dal regista. Juliette Binoche ha abbandonato il progetto ritenendo la sceneggiatura “troppo angosciante”. Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia del 2015, dove ha vinto il premio Orizzonti alla miglior regia e il Leone del Futuro - Premo Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis.
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